mercoledì 18 novembre 2009

Resoconto Assemblea di Facoltà

Gli studenti e le studentesse delle facoltà di Sociologia e Scienze delle Comunicazione, nel tentativo di dare continuità alla mobilitazione riguardante le problematiche relative alla 133, alla sua attuazione e ai primi effetti che sta producendo all´interno del sistema universitario, si appellano cortesemente all´intero corpo docenti per la realizzazione di un progetto di trasversale partecipazione. Volevamo creare un momento di collaborazione invitando, con l´auspicio di una larga adesione, i docenti e i ricercatori interessati a dedicare alcune lezioni alla problematizzazione e alla sensibilizzazione in merito alla suddetta legge 133 e al nuovo disegno di legge; tale progetto potrebbe consistere in un dibattimento aperto in seguito ad un intervento del docente durante le proprie ore di lezione ordinarie. Questo incontro formativo, richiederebbe ai docenti di analizzare durante una lezione, contestualizzando rispetto alle relative specificità, il contenuto della riforma anche nei suoi aspetti più controversi. Data la disponibilità di alcuni docenti e la nostra impossibilità acontattare individualmente tutti i componenti, si invita l´intero corpo a prendere in considerazione la proposta che in seguito ad un primo momento costruito a livello particolare nelle diverse ore di lezione ordinarie, si concluderà in una giornata dedicata a diverse attività culturali. Tale evento vorrà essere un´occasione di apertura alla società civile con iniziative pubbliche, che consisteranno in seminari, proiezioni, spettacoli e dibattiti articolati sia in momenti critici sia ludici e ricreativi,volti a valorizzare un momento di libera espressione e riflessione. Affinché sia possibile la concreta realizzazione dell´intero progetto chiediamo cortesemente di formalizzare le adesioni lasciando la propria disponibilità alla segreteria, al Preside o alla commissione che si incaricherà dell´organizzazione di tali eventi. Ringraziamo della cortese attenzione a disposizione delle iniziative l´assemblea delle facoltà di Sociologia e Scienze della Comunicazione.

venerdì 6 novembre 2009

RIFLESSIONI DI UNA CITTADINA


Sono perplessa. Come molti sanno, lo scorso 13 Ottobre è stata bocciata la proposta di legge sull'omofobia presentata da Paola Concia, Anna Rossomando, Donatella Ferranti e Cinzia Capano. La Camera ha, infatti, accolto la pregiudiziale di costituzionalità presentata dall'Udc. I motivi sono i seguenti: secondo i suoi oppositori si violerebbe in primis l'articolo 3 della Costituzione italiana, ovvero il principio di Uguaglianza, poiché chi subisce violenza a causa dell'orientamento sessuale riceverebbe un trattamento privilegiato rispetto a chi “subisce violenza tout- court” (Testo Unificato Introduzione nel codice penale della circostanza aggravante inerente all'orientamento sessuale). Non essendo presente una definizione chiara di “Orientamento sessuale” l'aggravante sarebbe attribuita su base soggettiva, aggravante che è possibile solo su base oggettiva, relativamente, per esempio, all'aggressione a un pubblico ufficiale. In tal modo si violerebbe l'articolo 25 della Costituzione, ovvero la parte riguardante il principio di tassatività penale.
Sulla base di questo mi chiedo, ma già che ci siamo perché non eliminare i “privilegi” relativi la tutela dei minori, o a coloro che subiscono violenza, sotto qualsiasi forma, per motivi razziali, culturali o religiosi? Si, bisognerebbe fare qualche “piccola” modifica alla Costituzione, ma a quanto pare questo non è più un problema per una parte dei politici italiani. Il sassolino nella scarpa, non così tanto piccolo però, è costituito dall'Unione Europea che cerca di stabilire, malgrado la volontà di qualche suo stato membro, principi e diritti consoni al mutamento di valori e principi che sta coinvolgendo l'intera società.
Sulla base della seconda accusa sarebbe considerato più “costituzionale” (sarebbe più onesto parlare di naturale nel senso biologico del termine), inoltre, tutelare un rappresentante delle forze dell'ordine etero, che un libero cittadino omosessuale? Secondo la deputata del Pd Paola Binetti parrebbe di “si”.
In un'intervista al quotidiano Repubblica dello scorso 20 Ottobre 2009, infatti, la deputata ha affermato che “... in tutti i comportamenti ci sono limiti imposti dalla natura stessa. La comunità omosessuale è una realtà. Penso che nelle sue richieste travalichi spesso quei limiti. Sia chiaro: ha il diritto di chiedere, ma il legislatore ha diritto di non concedere”.
Da queste parole sembrerebbe che il cittadino ha diritto di chiedere protezione allo Stato, ma questi è libero di non concedere la protezione richiesta. Ma stiamo ancora parlando della Costituzione?
A voi le considerazioni
Lucrezia Scirè
AFFARI ESTERI

Obama, il Nobel preventivo

C’era una volta il primo Presidente degli Usa afro-americano, insignito del premio Nobel per la pace, dopo sette mesi di mandato. Detta così questa frase può davvero sembrare l’incipit di una favola per bambini, ma in realtà è tutto vero; eh si perché Barack Obama non solo è stato nominato Presidente degli Stati Uniti nel gennaio scorso, ma ha anche ricevuto l’ambitissimo premio per i suoi « sforzi straordinari nel rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli», come si legge nella motivazione pubblicata sul sito web del Comitato per il Nobel.

Che Obama sarebbe stata una figura “rivoluzionaria” nella storia statunitense e globale, era francamente prevedibile, non foss’altro che per lo straordinario spirito innovativo delle sue idee e per la capacità comunicativa, carica di sensibilità, con cui le veicola; ma da qui, a preveder il Nobel, ce ne passa.

All’atto pratico, Obama non ha certo ancora cambiato le cose: gli Usa e la coalizione dei volenterosi, continuano di fatto ad occupare militarmente Iraq ed Afghanistan, il presidente iraniano Ahmadinejad non ha di certo bloccato lo sviluppo del programma nucleare ed ancora il conflitto in Medioriente è ben lungi dall’essere solo un ricordo, così come il protocollo di Kyoto e la Convenzione internazionale per i diritti dell’infanzia sono, per ora, documenti disattesi dal Paese più potente del mondo, solo per citare alcuni esempi. E allora qual è il vero fattore di discontinuità rispetto al passato? Quale è la vera differenza? La differenza, forse, va rintracciata nel fatto che Obama sta tentando di mettere in atto una serie di risposte alternative a quelle in questi anni fin troppo abusate. E’ riuscito ad infondere nuova fiducia nelle relazioni internazionali attraverso l’arma bianca del dialogo.

Ha rispolverato gli strumenti “freddi” della diplomazia mondiale, da troppi anni ormai accantonati e messi al bando da coloro i quali, per convinzione o convenienza, gli avevano preferito quelli “caldi”, certamente più immediati, ma non di certo meno dispendiosi in termini materiali ed umani.

Ma soprattutto ha prepotentemente messo al centro dell’attenzione la necessità di rispondere a problemi globali, non già attraverso azioni unilaterali, bensì attraverso la diplomazia multilaterale, evidenziando in questo modo il ruolo che le Nazioni Unite e le altre Organizzazioni sovranazionali possono avere in un’ottica di cooperazione finalizzata a costruire un futuro più sostenibile.

E’ forse a questo punto più semplice intuire le motivazioni che hanno spinto il Comitato, a conferire il Nobel per la pace ad Obama. Si tratta di un premio predittivo, anticipatorio, un premio alle buone intenzioni, ma non certo immotivato, se letto in un ottica di medio/lungo raggio; è certamente, quella del Presidente statunitense una politica dalle non immediate conseguenze pratiche, ma dal valore simbolico in prospettiva estremamente potente, tanto più per il fatto che ci si trova di fronte ad una radicale svolta nell’azione di governo dei conflitti socio-politici, rispetto alla Amministrazione precedente.

Si è voluto dunque premiare l’orientamento ad una “pace preventiva” di Obama, che si pone in netta antitesi all’orientamento della “guerra preventiva”, propugnato a più riprese da G.W. Bush precedente inquilino della Casa Bianca; e premiando tale orientamento si è voluto riconoscere non solo ad Obama che questa è la strada giusta, ma si è anche voluto incoraggiare altri soggetti politici di responsabilità globale, ad intraprenderla e perseguirla.

Le congratulazioni “stupite” della maggior parte dei leader mondiali, denotano, forse, una certa reticenza nell’abbandonare lo strumento a dir poco paradossale, della guerra come mezzo di pacificazione; le ragioni sono sotto gli occhi di tutti: una guerra comporta il sovvertimento di uno status quo, l’ abbattimento di un “ordine”, che ovviamente deve essere ricostituito possibilmente ad immagine e somiglianza dell’Occidente globalizzato, ed è qui che entrano in gioco gli enormi interessi economici sottesi alla ricostruzione.

La pace è un investimento, ma con un tasso d’interesse (certamente variabile) ad altissimo coefficiente remunerativo, in termini culturali, sociali e perché no economici; Obama questo, forse lo ha capito.



di Andrea Caltagirone

LA PIRATERIA IN SOMALIA

Nell’ultimo anno l’interesse dei mass media riguardo il problema della pirateria sulle coste somale è cresciuto considerevolmente; si tratta di un fenomeno nuovo, o semplicemente di un continuum tra Occidente e Africa nel quale gli interessi economici sulle risorse primarie sono alla base delle dispute tra il più forte e il più debole?


Nel 2008 sono state attaccate 111 navi dai pirati somali che ne hanno catturato 42, incassando un centinaio di milioni di dollari. Nonostante le numerose navi da guerra schierate nell’area, il fenomeno non accenna a diminuire, poiché la difficoltà maggiore è quella di riuscire a coprire un’area marittima che si estende da Gibuti alle Coste del kenya. Dal 2005 molte organizzazioni internazionali, come l’Organizzazione Mondiale del Commercio e L’Organizzazione Marittima, hanno espresso le loro preoccupazioni per i rischi economici e sociali causati dalla pirateria. Per contrastare questa minaccia è stata creata una task force navale internazionale denominata Combined Task Force 150, con il compito di contrastare militarmente l’azione dei pirati.


La pirateria al largo delle coste somale non è un fenomeno nuovo, ma è una minaccia costante alla navigazione tra Europa e Asia fin dalla rivoluzione civile somala dei primi anni novanta. La caduta del governo somalo ha causato degradazione e fame in tutto il paese. Molta della gente che viveva sulla costa sostiene, che nello stesso periodo della rivoluzione civile, navi europee hanno iniziato a comparire al largo delle coste della Somalia, svuotando grossi barili nell’Oceano. Numerosi abitanti si ammalarono, tanto che vennero messi al mondo bambini malformati. La maggior parte di queste scorie proveniva da ospedali e aziende europee, che sembravano essere affidate alla mafia affinché se ne liberasse in modo economico. Più di 300 milioni di tonno, gamberetti, aragoste e altri pesci venivano rubati ogni anno da pescherecci che navigavano illegalmente nelle acque somale. I pescatori locali avevano perso la loro fonte primaria di sostentamento.


Il leader libico Muhammar Ghweddafi, presidente di turno dell’Unione Africana, il giorno 6 febbraio del 2008, è sceso in campo a difesa dei pirati somali affermando che non si tratta di pirateria, ma di autodifesa. Nel giornale keniota “Daily Nation”, Gheddafi aggiunse che (la pirateria è una risposta all’avidità delle Nazioni Occidentali che invadono e sfruttano illegalmente le risorse delle acque territoriali somale)).


La pirateria è un atto criminale che non può essere giustificato, ma conoscere la storia che ha portato alla nascita di questo fenomeno può aiutare a comprendere fino a che punto gli esseri umani sono in grado di spingersi, a causa di quella sete economica che porta gli uomini a rincorrere il fantasma di quell’antica caccia all’oro ( le risorse primarie), all’interno di una cornice di degrado e povertà a cui spesso non si da importanza.


Sara Monsù


ANALISI DEI FENOMENI SOCIALI


Sicurezza: la distanza tra realtà e percezione della realtà


Sulla rivista del Ministero dell’Interno Amministrazione civile, in una ampia relazione, Bordigon e Diamanti sostengono la tesi secondo la quale dal 2000 ad oggi i reati sono in calo, mentre è aumentata la paura dei cittadini e il loro senso d’insicurezza.

Esiste dunque una distanza tra la realtà e la percezione della realtà che spinge molti a limitare la propria libertà per paura dell’altro. Giuseppa De Rita nel 34° Rapporto sulla situazione sociale del Paese parla di una “sensazione diffusa di paura” e di come questa sia percepita come “una emozione che supera la realtà”. Per spiegare tale fenomeno De Rita fa riferimento alla “molecolarizzazione della società” che, tradotto, significa: siamo più emotivi perché più soli, più liberi e più ricchi. Questo paradosso è provato dal fatto che l’angoscia per la criminalità è più grande nel Nord-Est del benessere rispetto al Meridione che non gode degli stessi livelli di ricchezza.

“Il denaro è l’essenza, fatta estranea all’uomo, del suo lavoro della sua esistenza, e questa essenza estranea lo domina, ed egli lo adora”, così il giovane Marx, ancora fortemente influenzato dalla sinistra Hegeliana, nel saggio La questione ebraica individua nel denaro la causa principale della deumanizzazione dei rapporti sociali, determinato da un processo di oggettivazione dello spirito degli uomini. A questa interpretazione del grande filosofo, si riscontra una certa plausibilità con l’odierna società, dove alla base c’è sempre il valore centrale del denaro, vale a dire laddove prevale la logica dell’accumulazione, il territorio, che poi è il deposito di quegli usi, costumi e tradizioni che rendono fiduciario il rapporto fra gli uomini, rischia di sfaldarsi. Il denaro, infatti, avendo libertà di circolazione trans-territoriale, misconosce territori, confini e frontiere che, insieme alla legge, sono stati, fino ad oggi, le maggiori garanzie della sicurezza. E questo non perché, come sostengono alcuni, sono arrivati romeni, albanesi, cinesi, magrhebini, ma perché uno dei risvolti negativi della globalizzazione economica è la de-territorializzazione umana. La globalizzazione, infatti, come ci fa notare Saskia Sassen nel saggio Città globali, tende a concepire le città come luoghi di scambi, concentrazioni di funzioni di comando dell’economia, più che come luoghi di abitazione e di radicamento, per cui nasce la percezione diffusa di abitare in agglomerati sconosciuti, che non hanno tra loro alcun rapporto di fiduciario, e tra i quali rischia di prevalere una sospettosità diffusa che concorre ad annullare ogni vincolo di solidarietà. Ma se i cittadini percepiscono un’insicurezza maggiore di quella documentata dai fatti, allora siamo in presenza di una paura che va oltre i quotidiani delitti e precisamente nel fatto che il territorio non si garantisce soltanto con il controllo delle forze dell’ordine, ma rinsaldando quel tessuto sociale, depositario di usi costumi e tradizioni che rendono fiduciario il rapporto con il prossimo.

di Angelo Ceccarelli


Giovani e criminali in Tv: il limite che non c’è


Romanzo criminale il film, come la serie televisiva sono stati un successo ed è un dato di fatto: i fan club su Facebook impazzano, le critiche della stampa sono tutte più che positive. Per questo motivo Rai Cinema e Cattleya hanno deciso di far girare a Stefano Sollima altre dodici puntate per fare una seconda serie della fiction.

Il sindaco della capitale Gianni Alemanno ha parlato di Romanzo Criminale come causa aggravante della violenza nelle periferie: “anche operazioni culturali come la serie tv Romanzo criminale o altre simili non hanno aiutato, ma hanno lanciato atteggiamenti e modi di fare sbagliati. I giovani non vanno lasciati soli e faremo di tutto per stare nelle periferie”. Una simile dichiarazione non poteva che sollevare polemiche. Riccardo Tozzi, produttore di Romanzo criminale la serie, parla della fiction come di una cartina tornasole che ha il solo difetto di rappresentare la realtà: “questo tipo di osservazioni sono periodiche, ma la tv semmai riflette quello che c’è in giro, non crea nulla”, e ricorda “reprimere la rappresentazione della violenza non significa annullarla nella realtà, ma semmai moltiplicarla”. C’è da domandarsi se sia stata proprio quella serie in TV a scatenare un surplus di violenza nei giovani. Da decine di anni si vedono sulle televisioni delle nostre case film e serie televisive saturi di ferocia e disumanità con il sangue e la violenza che scorrono a fiumi. Quindi, se si volesse attribuire la colpa di tutto ciò alla televisione e ai suoi contenuti si dovrebbe imputare la colpa dell’aumento del consumo di cocaina al film Carlito's way o Scarface, gli incidenti stradali a Fast and Furious, le violenze sessuali a Rocco Siffredi.

Da sempre leggiamo libri, riviste, fumetti, ascoltiamo musica, guardiamo tv e cinema, giochiamo con videogame ricchi di contenuti a volte forti per non dire violenti.


C’è da fare allora un atto di coraggio: affermiamo che per la maggioranza dei casi il problema della grave perdita di valori della gioventù non sia tanto da imputare alla televisione, quanto piuttosto dell'ambiente familiare incapace di fare fronte alla sconcertante perdita di senso di interessi e di vitalità da parte dei giovani.

Che i ragazzi siano facilmente plagiabili dal mezzo televisivo è fuori discussione, ma dare tutta la colpa ai media o a certi prodotti mediali sembra superficiale e troppo semplicistico. E’ evidente invece che oggi troppo spesso manchi un tessuto familiare che sia in grado di trasmettere ai giovani dei valori quali: il rispetto comune, la solidarietà, la collettività. Insomma, i media sono solo una parte del problema, ma non tutto. E’ necessario discutere con i propri figli, creare un ambiente familiare favorevole e ben disposto al dialogo. Avere il coraggio di toccare con il dibattito in famiglia ogni argomento, solo così si arriverà a far capire ai propri figli che può e deve esserci una differenza tra guardare Romanzo Criminale e diventare un criminale da romanzo. L’educazione spetta ai genitori, non solo alla tv.


Angelo Ceccarelli

OLTRE IL CRIMINE


Turismo criminale: siamo andati oltre i limiti?

File interminabili fuori dai tribunali, appostamenti nei pressi del luogo del delitto, interesse quasi ossessivo verso episodi di cronaca nera, non tutti sanno che l’insieme di questi elementi ha permesso l’evolversi di un nuovo fenomeno: il turismo criminale.

Le origini del turismo criminale risalgono agli orrori che erano presumibilmente avvenuti nel castello del dottor H.H.Holmes a Chicago nel 1985; ben cinquemila persone si recarono in quell’edificio, sperando di poter vedere quelle che i giornali avevano definito “celle delle torture”, “camere a gas sotterranee” e “stanze dei cadaveri”. Rendendosi conto del potenziale guadagno che si poteva ricavare da questo interesse morboso nei confronti del crimine, nacque questa nuova forma di turismo1.

Una pratica molto diffusa è quella del collezionismo, c’è chi si dedica all’acquisto di oggetti appartenenti a criminali, ormai facilmente reperibili attraverso siti Internet. Tuttavia, al di là del progresso tecnologico, non c’è nulla di nuovo in questo fenomeno; la spettacolarizzazione e l’eroicizzazione della violenza purtroppo esistono da sempre, basta pensare ai criminali crocifissi sulla via Appia nell’antica Roma o ai cadaveri dei fuorilegge esposti nelle vetrine dei negozi.

Non tutti, fortunatamente, ritengono divertente una gita in un posto dove probabilmente sono stati uccisi dei bambini, degli adolescenti torturati o con dei resti di cadaveri femminili stuprati e uccisi.
Per coloro che sono interessati a giri turisti macabri, lo scrittore americano Neal S. Yonover ha redatto “Crime Scene”, una vera e propria guida turistica che fornisce descrizioni, percorsi e altre informazioni riguardanti tutti i siti del paese in cui sono avvenuti famosi omicidi.

In Italia, non credo siano state pubblicate guide turistiche, ma il fenomeno comunque è in crescita. Gli esempi più clamorosi sono stati: il caso di Cogne, il processo di Garlasco, il processo di Erba, dove i protagonisti sono Olindo Romano e Rosa Bazzi, oppure il più recente omicidio di Perugia, dove è stata assassinata la studentessa inglese Meredhit Kerkher.

Altro fenomeno che purtroppo è presente non solo in America, ma anche in Italia, è quello degli ammiratori o ammiratrici che vedono nei colpevoli dei veri e propri idoli, degli esempi da imitare per la tenacia e la forza che hanno dimostrato prima e dopo l’emissione della condanna; ne sono un esempio le lettere che giornalmente riceve Erika De Nardo, la sedicenne di Novi Ligure che nel 2001 insieme al ragazzo uccise madre e fratello, oppure le lettere di ammiratori che riceve Amanda Knox, accusata dell’omicidio della studentessa inglese di Perugia.

Da queste informazioni è chiaro che emergono tanti “perché” e tanti spunti di riflessione. Come al solito non è opportuno generalizzare, perché non tutti sono colpiti da questa particolare forma di ossessione, ma è anche vero che questi nomi ormai fanno parte della nostra quotidianità. Non siamo ancora arrivati ai livelli americani che pubblicizzano i volti dei serial killer su oggetti vari di uso domestico, ma occorre domandarsi se un commercio simile sia legale e se alcuni siti Internet vadano censurati o meno.
Una domanda da porsi è questa:” Credete che sia stato superato qualche limite?”. Se così fosse non è il solo, non occorre affidarsi a qualche oracolo per trovare una risposta a tutto questo.


Clizia Piras

lunedì 26 ottobre 2009

AVVISO AGLI STUDENTI


ASSEMBLEA DI FACOLTA´

Di Sociologia e Scienze della Comunicazione

Da quest'anno possiamo vedere i risultati devastanti dei tagli all'università e alla scuola portata avanti dalla Gelmini e da Tremonti. All'interno delle nostre facoltà assistiamo alla riduzione dell'offerta formativa, minori servizi per gli studenti, nuove tasse da pagare etc.

Da un lato è necessario ricercare convergenze sul piano delle iniziative, dall´altro è altrettanto importante sviluppare analisi e progettualità che si collochino in un orizzonte comune, contrassegnato dal coinvolgimento delle diverse componenti del mondo della cultura e della formazione: studenti, insegnanti e lavoratori.

Ordine del giorno:
· Discussione e approfondimento della situazione universitaria e in particolare di quella di sociologia e scienze della comunicazione
· Tagli indiscriminati alla scuola e all'università pubblica
· Finanziamenti indiretti incostituzionali alle scuole, università private
· Incremento delle rette universitarie e nuove tasse aggiuntive
· Mensa, buoni sconto per gli universitari
· Gestione degli spazi inutilizzati all'interno dello stabile di via salaria n.113

Invitiamo tutti e tutte (studentesse/studenti, lavoratori/lavoratrici) a partecipare attivamente portando il proprio contributo.

Giovedì 29 ottobre aula magna Ore 11.00

martedì 19 maggio 2009

POLITICA INTERNA

La Festa dei P
irati


Alla Festa dei Pirati, sabato 28/3 alla Garbatella, a Roma, si è discusso del diritto d'autore nel cyberspace molto poco messo in risalto dai media tradizionali, se non negli ultimi mesi con l'assurda proposta di legge [vedi Sarkozy] che prevedeva la disconnessione degli utenti “pirati”. Fortunatamente la legge è stata bocciata ma non è detta l'ultima parola... La festa è stata ideata dal giornalista Luca Neri, e supportata da vari hacker attivisti ed esperti del P2P. Si è parlato di copyright con posizioni intermedie ed equilibrate, esemplificate nel sistema delle licenze Creative Commons e nel cosiddetto Copyleft, il permesso d'autore. La festa si è aperta con l'introduzione al P2P fatta dai sottoscritti Andrea Tavi e Franco Noè; noi abbiamo fatto una piccola introduzione sul P2P anche se il pubblico in sala era del settore come noi. E’ stato divertente, con domande e approfondimenti. Sono seguiti gli interventi degli avvocati Marco Scialdone e Guido Scorza, dei due rappresentanti di Piratbyran/The Pirate Bay Magnus Eriksson e Johan Allgoth, poi Athos Gualazzi presidente associazione Partito Pirata, i ragazzi di TNT Village, Giovan Battista Gallus e Francesco Paolo Micozzi ed infine gli avvocati difensori di The Pirat Bay, e il Prof. Arturo di Corinto. Quello che è sicuramente sotto gli occhi di tutti e rappresenta un dato di fatto da non trascurare è che i due terzi del traffico internet è generato da protocolli peer2peer, cioè in parole povere da utenti sparsi in tutto il mondo che scaricano contenuti. Non si può non prendere atto di questo e quindi far finta di non rispondere alla domanda che sorge spontanea: chi sono i pirati digitali? Figura, quella del pirata P2P, che per certi versi è tratteggiata dai media e a volte confusa con quella dell'hacker, o peggio con il cyber-criminale, un delinquente, il che genera un circolo vizioso di luoghi comuni e ignoranza rappresa. La risposta alla domanda suddetta invece deve prendere in esame più variabili e chiedersi come i processi sociali ed economici stiano evolvendo con lo sviluppo delle nuove tecnologie. Bisogna ripensare i modelli di business, per esempio del mercato della musica, e creare nuove leggi che facciano degli 'usi comuni' non più uno stendardo piratesco, ma un preciso insieme di materia di studio e di analisi per il futuro.


Andrea Tavi e Franco Noè
NEL CAOS DELLA NOTIZIA

Complotto o non complotto. Il “Papi” minimizza

No, non stiamo per parlare della festa del papà, anche perché marzo è passato.
L’argomento che ha infiammato le poltrone dei nostri più importanti talk show riguarda una notizia di importanza direi nazionale, che potrebbe far variare notevolmente l’equilibrio del nostro Bel Paese: Il Premier Silvio Berlusconi ha partecipato al diciottesimo compleanno di Noemi e questo sta causando il divorzio dalla moglie Veronica Lario.
Sì, è di nuovo lui il protagonista della scena italiana, il caro e ormai stagionato cavaliere continua a far parlare di sé, non per vicende politiche ma sempre per “colpa” delle donne, o come in questo caso di minorenni.
Tutto nasce dalla presunta candidatura di alcune veline alle Europee e dalla prima dichiarazione della Lario sulla vicenda: “Ciarpame senza pudore”. Dichiarazione che non lascia fraintendimenti.
Le reazioni, non solo della stampa ma di tutti i media, non tardano a farsi sentire.
Il Cavaliere, in seguito al commento della moglie, provvede celermente a cancellare dalle liste le veline, non potendo evitare il clamore che la notizia già aveva suscitato.
Certo è che il binomio Berlusconi-donne non è una novità. Il premier spesso è stato “paparazzato” con molte donne in diverse occasioni, tanto da non stupircene più, ma questa sua ultima mossa non è passata in sordina e come primo inquisitore si è ritrovato la moglie.
La prima linea di difesa e attacco del Cavaliere è stata quella di accusare di “complotto” la sinistra e i giornali, per aver “sobillato la signora”; ma ancora non si parlava di divorzio.
La situazione precipita quando esce la notizia che il Premier ha partecipato alla festa dei diciotto anni di Noemi Letizia, con tanto di foto.
“Per me è come se fosse un secondo padre, mi ha allevata..nessuno c’avrebbe creduto alla mia amicizia con ‘papi’ Silvio,ora invece l’hanno visto tutti”.
Questo è l’evento scatenante che porta Berlusconi e Veronica a un confronto pubblico e diretto, dove lei lascia dichiarazioni e interviste alla stampa e lui di tutta risposta occupa una rete pubblica per dare una sua versione della vicenda.
Che lo show abbia inizio.
Gli ultimi commenti della Lario non fanno altro che alzare il polverone che inesorabilmente avvolge il Premier, le parole della moglie suonano fredde e pesanti: “Chiudo il sipario sulla mia vita coniugale..non posso più andare a braccetto con questo spettacolo”.
I media impazziscono.
Le trasmissioni naturalmente si organizzano per commentare la notizia sulla cresta dell’onda.
Tra i programmi che si occupano esclusivamente di questa vicenda di importanza (inter)nazionale troviamo Porta a Porta, dove però, come accennato precedentemente, non c’è confronto, c’è solo un ospite, anzi l’Ospite che monopolizza tutta la trasmissione.
Berlusconi infatti utilizza il programma di Vespa per dire la sua, come dimostra il motto collocato alle sue spalle per l’occasione: Ora parlo io.
«È una menzogna che io frequenti ragazze minorenni ». «Avendo un’ora di anticipo sono andato al ristorante dove si festeggiava Noemi per parlare con il padre Elio..». «Mia moglie è caduta in una trappola» dichiara il Cavaliere tentando di minimizzare la situazione.
Altra trasmissione che ha dedicato una puntata alla vicenda è Anno Zero che naturalmente non ha fatto attendere l’altra faccia della medaglia.
La puntata inizia con il solito Travaglio che subito mette in luce alcuni punti oscuri o del tutto tralasciati della vicenda.
“Nessuna velina né prima né dopo nelle liste..menzogne delle gazzette della sinistra” queste le parole di Berlusconi; peccato che anche “il Giornale” (della famiglia Berlusconi) avesse fornito le stesse informazioni.
Diversi quesiti sorgono durante la puntata: Perché parlare di privacy per le candidature alle Europee? “Libero” e “Il Giornale” sono gazzette di sinistra? Che rapporto c’è tra Noemi e il Premier? Il padre della ragazza che influenza ha su Berlusconi?
Tutte domande proibite a Porta a Porta che, ci fa notare Travaglio, nessuno ha posto.
“Gli faccio compagnia, lui mi chiama, mi dice che ha qualche momento libero, poi io lo raggiungo, resto ad ascoltarlo, ed è questo che lui vuole da me”, “perché lui poverino non può sempre venire a Napoli”, parole della neodiciottenne*.
Il pensiero della Lario è chiaro quando alla domanda : “Se invece di un’avventura galante fosse una sua figliuola?” Veronica risponde “Magari..”.
Santoro conduce un equo confronto fra le parti, nel quale non mancano cadute di stile per Ghedini, avvocato del Cavaliere.
Programma che nel complesso ci presenta una visione diversa della vicenda e fa nascere nuove perplessità sulle candide azioni di Berlusconi.
La trasmissione della Dandini “Parla con me” non poteva mancare all’appello, non incentrando però tutta la puntata sulla vicenda Berlusconi-Lario, ma, ironicamente, facendo ascoltare una canzoncina creata per l’occasione da Andrea Rivera, per descriverne l’excursus.
Si è occupata della notizia anche la Gruber nel suo “Otto e mezzo”, nel quale il confronto con gli ospiti si è incentrato più su “veline sì o veline no” e su quale fosse la reale responsabilità di Berlusconi.
La gente si è trovata a dover esprimere un parere sulla vicenda: “ Veronica ha fatto bene a parlare pubblicamente e chiedere il divorzio?” Interrogativo che tutt’ora appassiona gli italiani.
Molti sono i commenti che si possono raccogliere sul web, come l’intervista colorita di Cacciari a Repubblica tv.it
L’importanza di questa notizia è stata in grado di mettere in moto i diversi mezzi d’informazione e al tempo stesso tralasciare eventi meno salienti (in termini di notiziabilità) come ad esempio la morte di una donna tunisina al Cie di Ponte Galeria .
Ora la domanda che non fa dormire gli italiani è: cosa succederà nella prossima puntata?

Agnese Lud Paganini
NEL CAOS DELLA NOTIZIA

NOTIZIE IN PRIMO PIANO: “L’EFFETTO-POSIZIONE”

Per continuare la nostra analisi sulla notizia “distorta” italiana, prendiamo questa volta in considerazione l’impostazione dell’homepage di alcuni quotidiani nazionali, esattamente “La Stampa.it”, “La Repubblica .it” e “Il Messaggero .it”, tentando in questa maniera di cogliere, senza il sostegno di alcuna immagine, lo “effetto-posizione” della notizia.
Un’informazione, se collocata in primo piano sulla homepage con affianco un’immagine impetuosa, riceverà sicuramente un’attenzione diversa dal lettore, rispetto alla notizia inserita invece in sordina, magari a fondo pagina, nonostante la medesima catalogazione come notizia importante, in quanto messa tra quelle in primo piano.
Risulta così affascinante come, prendendo ad esempio le notizie del 14 maggio 2009 e osservando la loro posizione, si riesca a innescare un processo analitico per rilevare una qualsiasi diversità nel fare informazione: si nota dunque come all’unanimità i tre quotidiani nazionali considerati, abbiano scelto di enfatizzare allo stesso modo, con toni simili e immagini d’impatto, la notizia relativa al voto finale concernente il nostro DDL Sicurezza, che vede il Ministro dell’Interno Maroni pronto a “contrastare i clandestini con ogni mezzo”.
Per quanto riguarda le notizie dall’estero, si osserva che “La Stampa” pone la sua attenzione sul viaggio del Papa in Terra Santa, accompagnando l’articolo da un’immagine modesta e da alcuni video che documentano le tappe del soggiorno del Pontefice. La stessa notizia dimostra invece di avere minore rilevanza per “La Repubblica”, che la pone a metà pagina con una piccolissima immagine, per arrivare infine a “Il Messaggero”, che sceglie di posizionarla in ultima riga, privandola di qualunque rappresentazione grafica.
Ma la nostra analisi continua, passando dall’effetto-posizione all’effetto-omissione, poiché se per “La Stampa” la crescita della Fiat in Europa è una notizia da mettere in primo piano nell’homepage, “La Repubblica” e “Il Messaggero” non ne colgono l’importanza; bensì “La Repubblica” preferisce dare maggiore abbrivio all’inchiesta di Fini sui diritti degli omosessuali e “Il Messaggero” decide invece di soffermarsi sull’agenda impegnata del nostro Presidente, titolando l’articolo in questione come segue: “Europee, Veronica e la crisi: campagna elettorale a tappeto per Berlusconi”.
Dopo questo tentativo di analisi, si spera sufficientemente accurato, non ci resta altro che provare a leggere le notizie in maniera più distaccata, così da formarci una coscienza critica riguardo le informazioni che costantemente ci assalgono e che forse in alcuni casi ci impediscono di guardare al di là
.

Gioara Rizzo
ANALISI DEI FENOMENI SOCIALI

L’ossessione dell’invasione: l’immigrazione in Italia fra etnocentrismo, pregiudizi e stereotipi

L’Italia, comunemente ritenuta un paese di emigrazione (e che continua ad esserlo), è diventata negli ultimi decenni un grande paese di immigrazione; si è infatti verificato un continuo aumento degli arrivi e di conseguenza delle presenze in Italia. A partire dagli anni Ottanta, il nostro paese è andato configurandosi come una società multietnica, costituita da individui provenienti da ogni parte del mondo con la speranza di una vita migliore per sé e i propri figli. Secondo le stime dei sociologi, l’immigrazione italiana ha ormai largamente superato i quattro milioni di unità, a cui è seguito un ininterrotto variare delle nazionalità dei soggetti in entrata nel nostro Paese. I dati Istat rivelano che gli stranieri residenti in Italia sono passati, tra il 2002 e il 2007, da 1.549.373 a 3.432.651. Probabilmente, il divario numerico tra le stime dei sociologi e i dati Istat deriva dal fatto che ancora molti immigrati sono in attesa di essere regolarizzati e di ricevere la residenza anagrafica.
Il fenomeno dell’immigrazione pone, inevitabilmente, problemi di convivenza tra etnie diverse. Da un lato si riscontra una difficoltà di adattamento da parte degli immigrati in un nuovo contesto culturale, cui si aggiunge l’incomprensione della lingua e problemi di tipo economico. Dall’altro sono associati problemi riguardanti la scarsa disponibilità all’accettazione e all’integrazione da parte della comunità ospitante. Infatti, nella maggior parte dei casi, gli immigrati sono considerati dal Paese in cui giungono come intrusi e pericolosi, responsabili dell’aumento della disoccupazione e della criminalità; a ciò seguono talvolta crescenti atteggiamenti di discriminazione ed esclusione e, purtroppo, sempre di più si riscontra aperta ostilità, violenza e razzismo. Secondo i dati del Viminale, i tassi di criminalità degli italiani e stranieri regolari sono pressoché gli stessi. Questo, forse, rende chiaro che il problema è legato all’integrazione degli strati più poveri e non regolari del flusso migratorio. Tuttavia, il processo di incontro etnico-culturale non è mai facile, né immediato, come viene tra l’altro spiegato da molte teorie della psicologia sociale: visioni etnocentriche, pregiudizi e stereotipi sono spesso il risultato di molteplici fattori che hanno origine storica, culturale, sociale ed individuale. E con questi vanno a braccetto da un lato i mezzi di comunicazione che, agendo sui meccanismi emotivi, forniscono modelli per la formazione degli stereotipi. Dall’altro lato, e per gli stessi motivi, la politica, attraverso una tematizzazione del problema dell’immigrazione, che troppo spesso manca il bersaglio. Ma la faccenda è sotto i nostri occhi, e non bisogna essere psicologo o sociologo per capire che la comunità ospitante pone dei limiti, legati a motivi culturali, religiosi, linguistici ed economici, verso coloro che sono ritenuti diversi. E come sta accadendo nel nostro Paese, non c’è rispetto nemmeno degli accordi internazionali. L’attuale governo si dimentica che gran parte dell’immigrazione in Italia arriva con l’aereo a Fiumicino o con il bus alla Stazione Tiburtina e non dal mare. I flussi non si fermano rispedendo barconi carichi di profughi in Libia. Il problema reale è che in Italia per le politiche destinate all’immigrazione si spende una cifra irrisoria rispetto ai paesi europei colpiti dal problema, come la Spagna. E questi fondi sono per l’80% spesi per politiche di repressione o respingimento, e solo il 20% per politiche di integrazione. Pochi, troppo pochi.
Angelo Ceccarelli
OLTRE IL CRIMINE

Le donne abusano o proteggono?

Ognuno di noi, almeno una volta, ha sentito parlare di pedofilia; l’idea che i mass media ci trasmettono si limita all’atto dell’abuso, per questo cercherò di spiegare innanzitutto chi è il pedofilo e soprattutto di abolire il luogo comune che si possa trattare solamente di uomini.

Secondo il DSM-IV
il pedofilo è “Chi, durante un periodo di almeno sei mesi, manifesti fantasie, impulsi sessuali o comportamenti ricorrenti e intensamente eccitanti, che comportano attività sessuale con uno o più bambini prepuberi. Specificare se attratto da maschi, femmine o da entrambi e specificare se limitato all’incesto”.
Questa è la definizione scientifica che viene data sull’argomento, ma di certo si limita ad una semplice classificazione, non sviluppa interrogativi su chi siano i bambini maggiormente a rischio, sul perché potrebbero svilupparsi meccanismi di incesto o sul perché persone apparentemente “normali” celano un’identità nascosta.

Da sempre la figura del pedofilo è stata associata all’uomo, ma da qualche anno occorre fare una distinzione, in quanto il fenomeno si è diffuso anche tra le donne.
Apparentemente risulta inconcepibile che una madre, dotata di istinto protettivo innato verso i propri figli, possa commettere atti simili; ancora una volta, abbiamo l’esempio di come qualsiasi opinione o giudizio incardinato nella nostra società possa demolirsi in un attimo.

Dietro ogni abuso si nascondono come sempre una vittima e un carnefice, ma soprattutto vi è una storia, si celano delle persone che il più delle volte agiscono in silenzio e altre, come le donne, che vorrebbero spezzare questo silenzio, ma spesso si ritrovano ad essere complici.
Si tratta di donne di tutti i tipi: al contrario dello stereotipo maschile che privilegia uomini di bassa estrazione sociale e culturale, il ruolo delle donne è caratterizzato da un abuso di tipo attivo e cercato, per motivi di piacere e denaro o da un abuso definito “assistito”, compiuto da altri e taciuto e il più delle volte molto facilitato.

Non bisogna sottovalutare, inoltre, l’associazione tra pedofilia e turismo sessuale; spesso in televisione vengono proposti programmi che trattano questi argomenti, ma si concentrano soprattutto sugli uomini. Perché non ci vogliono far conoscere tutti gli aspetti dei fenomeni sociali e soprattutto, perché sottovalutare quegli elementi poco conosciuti, ma allo stesso tempo maggiormente inquietanti?
Negli ultimi anni, è stato definito il profilo della turista sessuale europea occidentale o statunitense, generalmente ricca e di mezza età, che usufruisce di un kit di ormoni e droghe da somministrare ai bambini che verranno abusati.
La Società di Endocrinologia Pediatrica ha spiegato che la somministrazione di questi ormoni nei bambini provocherebbe, oltre al notevole danno psicologico, anche danni e ritardi per quanto riguarda la crescita stessa del bambino.

Chiunque ha il diritto di conoscere questi aspetti, solamente in questo modo possiamo distaccare le riflessioni dai pregiudizi; il più delle volte le situazioni si aggravano per la mancanza di informazioni vere e complete; spesso si avanzano ipotesi e opinioni per sentito dire e così il tutto si complica e il pregiudizio si incardina sempre di più all’interno del contesto sociale.
Come possiamo aiutare le vittime o prevenire determinati fenomeni se non conosciamo realmente cosa c’è dietro? L’ignoranza è sempre stata una dei maggiori punti di forza per chi detiene il potere dell’informazione; per fortuna ci sono persone che ogni giorno si impegnano per la prevenzione del crimine e di tutti gli aspetti ad esso legati.
Considerando il momento di crisi che la nostra società sta attraversando su tutti i versanti, forse è arrivato il momento di conoscere realmente e di attivarsi affinché venga nuovamente riconosciuto il valore della dignità umana.

Clizia Piras

[1] Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali

domenica 10 maggio 2009

POLITICA INTERNA

Berlusconi minaccia i media. Un altro "editto bulgaro"?

Quando un’espressione entra nella storia di un paese vuol dire che questa è legata ad un evento significativo. È il caso di “editto bulgaro”, locuzione coniata nel 2002, quando Berlusconi accusò di fare un “uso criminoso” della tv pubblica Michele Santoro, Enzo Biagi e Daniele Luttazzi, che furono allontanati dalla Rai.
Sono passati solo sette anni da allora, ed ecco che Berlusconi ha nuovamente criticato i media italiani. A differenza del 2002, quando il premier parlò da Sofia, stavolta è stata Praga la sede dell’attacco ai mezzi d’informazione.
Dopo la trasmissione delle immagini del Cavaliere impegnato al telefonino mentre Angela Merkel lo attendeva per una cerimonia ufficiale al vertice Nato di Strasburgo, Berlusconi, che ha affermato che il suo interlocutore telefonico era il primo ministro turco Erdogan, ha dichiarato che «questa è calunnia nei miei confronti e disinformazione nei confronti dei lettori, quindi a un certo momento non voglio arrivare a dire di fare azioni dirette e dure nei confronti di certi giornali e di certi protagonisti della stampa, però sono tentato perché non si fa così».
Le dichirazioni del presidente del Consiglio diventano quasi minatorie: «voi pensate che se io dico: non guardate più una tv o altro, non c’è nessuno che mi segue in Italia?» ha detto ai giornalisti, che il giorno prima aveva additato come “nemici dell’Italia”, spiegando che «io lavoro con l’Italia e io non parlo con chi lavora contro l’Italia».
A Berlusconi non è piaciuta nemmeno la scelta di mandare in onda il filmato con il rimprovero della Regina d’Inghilterra, ma già nel mese scorso egli aveva definito la Rai come «l’unica tv di Stato che attacca il governo in carica».
Sembra che il presidente del Consiglio stia in qualche modo spianando la strada ad una nuova ondata di provvedimenti che danneggino o limitino l’informazione, e ciò è inaccettabile in un paese che dovrebbe essere “democratico”. E ancor più lo è se l’autore di questo è colui che grazie alle televisioni di sua proprietà è riuscito a costruirsi un impero economico e un potere politico indiscussi.

Andrea Pranovi
POLITICA INTERNA

Cgil: due milioni e mezzo in piazza contro il governo

La solita battaglia sulle cifre: secondo gli organizzatori due milioni e mezzo di persone, secondo la questura duecentomila. Di sicuro non c’erano i tre milioni di persone che nel 2002 Cofferati portò in piazza per dire no alle modifiche dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Comunque, Roma è stata invasa dalle bandiere rosse della Cgil contro le scelte del Governo per combattere la crisi economica.
Nella capitale sono arrivati quaranta treni, due navi e settemila pullman. Da piazza della Repubblica, piazza Ragusa, piazzale dei Partigiani, piazzale dei Navigatori e piazzale delle Crociate sono partiti cinque cortei che, con lo slogan “Futuro Sì Indietro No”, hanno raggiunto il Circo Massimo.
Il segretario della Cgil Epifani ha apertamente chiesto a Berlusconi di «aprire un tavolo di confronto sulla crisi» e ha affermato che «se non si provvede a una giustizia fiscale, e si favoriscono solo il capitale e le rendite, il paese sarà sempre più immobile nelle gerarchie sociali. Se continuano a ridursi gli spazi di contrattazione il mondo del lavoro sarà sempre più debole, sempre più il Paese dei furbi e dei furbetti». Epifani ha poi lanciato un appello agli altri sindacati: «Conviene anche al nostro Paese farsi già adesso un’idea di come mettere a punto un modello di sviluppo sostenibile. Spero che su questo tema anche Cisl e Uil possano essere disponibili: abbiamo bisogno della forza di tutto il sindacato. E anche di Confindustria».
Alla manifestazione hanno preso parte anche i leader di alcuni dei principali partiti del centro-sinistra, da Franceschini a Ferrero, da Vendola a Diliberto, da Cento alla Francescato. Tra gli esponenti del Pd in piazza Damiano, Bersani, Fassino, Veltroni, Cofferati e Bassolino.
Dal palco del Circo Massimo hanno parlato anche un operaio cassintegrato di Pomigliano D’Arco, una pensionata romana, un’insegnante precaria di Cremona, un immigrato ghanese e un medico siciliano. Presentati da Massimo Wertmuller si sono esibiti Shel Shapiro, il pianista Luis Enrìquez Bacalon, le band Casa del Vento e Modena City Ramblers e gli attori Paolo Hendel, nelle vesti di CarCarlo Pravettoni, e Pierfrancesco Favino.
Quella del 4 aprile è la più grande manifestazione dalle elezioni 2007, il che indica l’importanza del sindacato come forza d’opposizione politica, soprattutto in un momento caratterizzato da un Pd lacerato dai dissidi interni, da una sinistra radicale sempre più frammentata e ancora stordita dal tonfo elettorale e da un’ Italia dei valori concentrata quasi esclusivamente sul tema della giustizia.

Andrea Pranovi
POLITICA ESTERA


La dura realtà dei bambini soldato

La feroce realtà del continente nero comprende e coinvolge anche le storie di molti bambini, che hanno odiato, torturato, devastato se stessi e gli altri. E’ l’agghiacciante realtà dei bambini soldato, ragazzini dagli 8 ai 16 anni che in molte zone del mondo si trovano a combattere al fianco di guerriglieri e bande paramilitari, incuranti quest’ultimi della Convezione di Ginevra, la quale considera il coinvolgimento di minori un crimine di guerra.


Secondo le stime dell’Unicef, sono almeno 300 mila i bambini soldato impegnati attualmente in zone di combattimento. Più di 60 sono i Paesi nei quali è consentito l’arruolamento di volontari di giovane età nelle forze armate: in Mozambico, Uganda, Sierra Leone, Ciad e Sudan i bambini vengono inseriti in reparti paramilitari; in Kenya, Nigeria, Haiti vengono aggregati alle bande armate di criminali che fanno lavori sporchi per i capi politici; in Iraq e Afganistan vengono usati per diventare Kamikaze. Tuttavia, le ong sostengono con fermezza che in genere i bambini non sono volontari, ma sono spesso ragazzi di strada, rapiti e obbligati sotto l’effetto di droghe(cocaina, anfetamine, polvere da sparo bruciata e mischiata col riso, hashish) e alcool a imbracciare un fucile. Anche nel momento in cui riescono a fuggire dalle file dei ribelli, è molto difficile ricostruire le loro vite: le comunità d’origine sono restie a riprenderli con loro, così spesso c’è bisogno di programmi di reinserimento, attuati dalle varie associazioni umanitarie.


Secondo uno studio di casi in Sierra Leone, Nord Uganda e repubblica del Congo, effettuato dall’ong Coopi (recentemente specializzata nel reinserimento di ex-combattenti) con la collaborazione dell’Unicef, risulta che i traumi dovuti alle violenze subite e attuate dai bambini nei conflitti possono essere superati attraverso l’attuazione di programmi psico-sociali, che puntano a reinserire i bambini nelle proprie famiglie. E’ un compito arduo, se si considera che le bambine che hanno subito violenze o che tornano dai conflitti con una gravidanza, non sono più considerate come le altre; una bambina abusata non ha infatti più lo stesso “valore” per la comunità, e difficilmente riuscirà a trovare un marito. Coopi ha creato programmi che valorizzano l’insegnamento di attività che producono reddito, permettendo ai ragazzi di sentirsi utili e facilitando l’accoglienza nelle famiglie. Vengono promosse, inoltre, discussioni individuali o di gruppo, con l’obiettivo di sensibilizzare i genitori e i membri della comunità d’origine, spiegando che i ragazzi sono le prime vittime delle atrocità effettuate. Il periodo in cui un bambino soldato può considerarsi “guarito” è molto lungo, almeno 5-6 anni.
La natura paradossale della storia dei bambini soldato è che in alcuni paesi africani, come il Congo, la Sierra Leone e l’Uganda, vengono diffuse leggende secondo cui i bambini soldato sono stati stregati, e queste provocano grandi diffidenze nella popolazione, limitando così la collaborazione con le organizzazioni non governative preposte a dare loro soccorso.


Naturalmente, il problema dei bambini soldato è solo una parte del lavoro che le organizzazioni umanitarie svolgono nella protezione dell’infanzia colpita dai conflitti armati. L’Unicef lavora con i suoi partner per sostenere anche attività che riguardano la salute, l’istruzione, l’assistenza per i bambini sfollati o rifugiati, la prevenzione dell’HIV/AIDS.


La realtà dei bambini coinvolti nei conflitti è un flagello perpetuo al quale non si riesce a porre fine, molte sono ancora le vittime di giovane età costrette a vivere senza identità e senza futuro; indispensabile è dunque il ruolo delle organizzazioni umanitarie e dei vari governi per la tutela di quell’infanzia che spesso viene sottratta a molti bambini, anche se la difficoltà più grande da superare rimane quella di rendere visibile a livello mediatico i progetti avviati dagli organismi internazionali, poiché se non si riesce ad avere una corretta e chiara informazione da parte dei mass media, le soluzioni a determinate problematiche continueranno a rimanere al buio per gran parte della popolazione mondiale.

Sara Monsù

POLITICA ESTERA


La grande sfida di Obama

L'Afganistan è il più grosso problema che il presidente americano si troverà ad affrontare nei prossimi anni, e per la stabilità in Asia,molto dipenderà dalla riuscita pacificazione dell'area.

Il presidente Barack Obama lo sa bene e infatti lo aveva già ribadito prima delle elezioni: il Pakistan e l’Afganistan sono due paesi che si trovano ai primi posti nelle priorità del suo programma di politica estera. E fra queste due si inserisce la potenza indiana, che letteralmente diventa l'ago della bilancia di una situazione potenzialmente molto esplosiva. Senza contare la sempre più grande influenza che l’Iran ha nella zona, e i suoi buoni rapporti con tutte le nazioni prima citate.

Non è difficile capire il perché. Sette anni dopo che i Talebani furono privati del potere, il movimento islamico ha ristabilito la sua presenza nel 70% dell’Afghanistan, e in parte lo controlla. Lo stesso vale per il Pakistan, anche se con sfumature diverse, che vacilla sull’orlo del collasso per una faida tribale all'interno del paese, e anche a causa della rinascita talebana che rende i suoi confini altamente instabili: la sua frontiera nord-occidentale è invasa da militanti islamici, inclusi un gruppo autoctono talebano e una rinvigorita al-Qaeda.
Secondo i maggiori esperti militari, i più grossi problemi provengono dai “rifugi” dei Talebani e di Al-Qaeda nelle indomabili aree tribali del Pakistan,nel confine afghano: secondo la NATO e la CIA, sono questi campi di addestramento quelli che contribuiscono di più all'imponente afflusso di combattenti stranieri in Afganistan.
Una prima mossa della nuova amministrazione americana, in particolar modo voluta dal neo-presidente, è stata quella di incrementare ulteriormente il numero di soldati nel teatro di guerra afgano, portandoli a 52.000
effettivi; ma tutto ciò potrebbe non comportare un reale miglioramento della situazione.

All'epoca della guerra sovietica, Mosca comprese che l’impossibilità di colpire le basi di rifornimento ed i campi di addestramento del nemico rendeva inutile un semplice aumento di forze. I guerriglieri afghani morti venivano rimpiazzati da altri. Interi gruppi di questi venivano dal Pakistan e da altre nazioni amiche, portando armi americane, cinesi e sovietiche (ottenute da alcuni ex alleati dell’Unione Sovietica) e tutto ricominciava da capo.
Ciò che sta accadendo adesso è quasi esattamente la stessa cosa. Gli Stati Uniti stanno combattendo contro una guerriglia sostenuta dall’estero, dall’Iran e dal Pakistan. Non possono eliminare le sue basi all’estero e, soprattutto l'attuale amministrazione, non può permettersi di andare a scovare i terroristi in qualsiasi parte del mondo (almeno non come teorizzava l'amministrazione Bush). Anche se questa teoria non coincide con l'attuale aumento delle truppe USA che servono per impadronirsi nuovamente, e mantenendone il controllo, del territorio ceduto ai ribelli. Oltre tutto, nonostante anni di risultati infruttuosi, si continua con la strategia già più volte sperimentata negli ultimi anni in Afghanistan e in Pakistan, ciòè la controversa politica dei “drone” di George Bush: missili sganciati da aerei nelle aree tribali senza pilota della CIA, contro presunti “bersagli” di al-Qaeda e dei Talebani, con tutte le vittime civili ed il rancore che ciò scaturisce nella popolazione. Nonostante l’indubbio vantaggio militare, tutto ciò ha anche dimostrato che combattere una guerra, insurrezione terroristica o resistenza popolare, non significa semplicemente vincere una battaglia sul campo, ma anche e soprattutto assicurare la pace tramite la ricostruzione delle infrastrutture e del tessuto sociale distrutto dal conflitto. Scacciare i Talebani verso il confine con il Pakistan è una cosa, ma sradicarli completamente e metterli definitivamente fuori gioco è tutta un'altra questione. La vittoria, in questo senso, può essere raggiunta solo distruggendo il terreno culturale in cui essi prosperano: l’odio per l’invasore, la povertà e l’ignoranza.

A novembre il primo ministro pachistano Youssef Raza Gilani aveva “sperato” che Obama intendesse porre fine al “controproducente” metodo dei drone. I segnali attuali indicano che il presidente potrebbe incrementare queste azioni se il Pakistan dovesse “fallire nell’intraprendere azioni” contro i Talebani e al-Qaeda. Potrebbe indicare un futuro irrigidimento dei rapporti tra Washington e Islamabad, anche se l'alleanza strategica è sempre un capisaldo dei rapporti fra le due nazioni. Infine, ma non per importanza, c'e' il nodo cruciale del Kashmir, su cui si sono consumati decenni di lotta intestina fra India e Pakistan.
Obama sa bene che risolvere il problema del Kashmir significherebbe trovare una stabilità ai rapporti tra due potenze atomiche dell'Asia. Aveva infatti dichiarato prima della sua elezione:“Dovremmo cercare di risolvere la crisi del Kashmir in modo che il Pakistan possa rimanere concentrato…non sull’India, ma sui quei miliziani al confine”.
Resta da vedere come l'India saprà muoversi nei rapporti con il turbolento vicino, soprattutto dopo la pesante ombra di responsabilità che è caduta su Islamabad, nei recenti sanguinosi attacchi terroristici di Mumbay.

Oltre tutto, il presidente americano non può non tener conto della grande considerazione che Teheran ha nell’area e i suoi buonissimi rapporti con i vicini, comprese la Cina e la Russia. Da questo punto di vista la questione nucleare iraniana diventa sempre piu’ una questione urgente da risolvere.

Nino Orto

POLITICA ESTERA

Il Ruanda si tinge di rosa?


Il rapporto Unicef 2007, sul tema delle “quote rosa” in politica, rivela che a livello mondiale la Repubblica del Ruanda è al primo posto per la presenza di donne in parlamento. Questo piccolo paese africano sembra essere il più democratico in termini di rappresentanza politica. Ma le cifre spesso possono ingannare.
In Ruanda, nel mese di ottobre del 2003, le donne hanno ottenuto il 48,8% dei seggi, senza ottenere la maggioranza in parlamento; il nuovo progetto però è stato concordato dalle élitè politiche e le consultazioni sono avvenute attraverso la partecipazione della popolazione in parte analfabeta. Naturalmente una simile situazione era impensabile pochi anni prima. Nel periodo della guerra civile degli anni ’90 e del genocidio del ’94, le donne Ruandesi avevano avuto solo il 19% dei seggi in Parlamento. Nel 1994 il genocidio è stato perpetrato dagli estremisti hutu contro la minoranza dei tutsi e degli hutu moderati. Secondo le stime ci sono state 800.000 vittime(un decimo della popolazione). Un rapporto delle Nazioni Unite ha concluso che durante il genocidio 250.000 donne ruandesi sono state sistematicamente stuprate. Le violenze, per lo più compiute da molti uomini in successione, sono state spesso accompagnate da forme di tortura fisica ed eseguite pubblicamente per moltiplicare il terrore e la degradazione. Molte donne li temevano a tal punto da implorare di essere uccise. L’elevata diffusione dell’Aids aveva condannato le sopravvissute ad una lenta e dolorosa agonia. Durante il periodo del genocidio il governo aveva reclutato negli ospedali, tra i malati di Aids, veri e propri battaglioni di stupratori con l’intento di diffondere sistematicamente la malattia. Quando finì il massacro(durato circa cento giorni) si contarono i superstiti, l’ONU scoprì che il 60-70% della popolazione era di sesso femminile.

Un rapporto commissionato nel 2003 dagli Stati Uniti “International Devolopment” (USAID), ha riconosciuto in Pro-Femmes il “settore più vivace”della società civile. L’associazione Pro-femmes era nata nel 1992, nel periodo di democratizzazione dell’Africa, su iniziativa di 13 associazioni ruandesi con lo scopo di promuovere il ruolo delle donne. Mathilde Kaytesi, vice presidente di Pro-femmes, racconta: “nel ’94-’97 in Ruanda c’erano solo donne, gli uomini erano morti in guerra, imprigionati o fuggiti. Le donne hanno preso in mano la situazione, hanno gestito e ricostruito il paese: le case e gli alloggi. Esse hanno offerto sostegno immediato ai molti bambini esausti, malati e gravemente soli. Hanno assunto il controllo diventando mamme dei bambini orfani a prescindere dalla loro provenienza etnica. Ciò può far sembrare che sia in atto un processo di emancipazione femminile, ma la situazione è molto complessa, a fronte di una enorme esposizione femminile c’è soprattutto il problema che quello che è realmente sulla carta sia realmente applicato e tutt’oggi la cultura è fortemente radicata “.

Numerose sono ancora le problematiche da superare: il tasso di analfabetismo risulta essere molto alto tra le donne e la persistenza di barriere socioculturali non permette di fatto l’accesso all’istruzione formale e informale; diffusa è anche la pratica dei matrimoni forzati per le ragazze intorno ai 17 anni costrette a sposare il marito scelto dai genitori, ma ancora più grave è l’impossibilità da parte delle donne di sottrarsi all’obbligo di avere rapporti sessuali con il marito qualora fosse malato di Aids.

In Ruanda ci sono delle verità che non si vogliono far uscire o che è difficile e doloroso far emergere. Le donne possono avere un ruolo fondamentale perché sono state spettatrici e vittime, e possono essere ottime giudici e testimoni, ma dovrà essere superata la debolezza del sistema giudiziario ruandese che continua di fatto a ostacolare le indagini e l’azione penale nei confronti dei reati di violenza. Si perpetua così una società arretrata ma apparentemente democratica, nella quale le candidate donne in realtà molte volte vengono cooptate da mariti-ministro, compagni parlamentari e parenti con il compito di salvaguardare lo status quo, impedendo alle donne comuni di emanciparsi e ribellarsi al dominio maschile. Non sempre, quindi, i valori della democrazia e della libertà, soprattutto se teorizzati e scritti nella Costituzione ma mai realizzati, aprono realmente la strada ad un’equa rappresentanza politica.


Sara Monsù
POLITICA ESTERA

La politica economica di Obama

Il trionfo elettorale alle presidenziali americane di Barack Obama avvenute nel novembre del 2008, hanno rappresentato un cambiamento epocale, che ha segnato nella politica economica il tramonto del neo-liberismo reaganiano per aprire la strada ad un mutamento generazionale che coinvolge milioni di individui.
La politica promossa dal nuovo presidente degli Stati uniti si distacca dall’idea reaganiana che vedeva nel “Big Governement”il problema contro il quale combattere, ponendo invece una grande attenzione al ruolo che lo Stato deve avere per la soluzione dei problemi che riguardano i cittadini. Reagan aveva sostenuto la liberazione dell’economia dallo Stato, la privatizzazione dei servizi pubblici e la fine di ogni clausola doganale. Adottando questa linea di sviluppo si sarebbe favorita la libertà del mercato, che nel lungo periodo avrebbe portato ad una generale crescita del Pil e del livello di scambio tra paesi lontani: questo circolo virtuoso avrebbe accresciuto nel tempo non solo le classi agiate ma anche le grandi masse. Naturalmente il dogma dominante che ha attraversato indenne la presidenza Clinton fino alla presidenza di George W Bush, ha finito per divorare se stesso, accentuando di fatto le disuguaglianze fra le varie classi sociali, le sperequazioni esistenti tra i paesi ricchi e il sud del mondo e aumentando la ricchezza delle multinazionali. Obama ne ha tratto le conseguenze, ereditando dalle precedenti presidenze un “buco” di mille miliardi di dollari, un mondo finanziario a pezzi e un sistema economico frantumato.
Il nuovo presidente rilancia una maggiore presenza del “Big Government”che si configura come lo strumento più adatto per la soluzione della grande crisi che continua a diffondersi nel mondo americano, ma che di riflesso colpisce indistintamente tutti gli Stati. La manovra anti-crisi definita”Stimulus Act” prevede 787 miliardi di dollari, di cui il 74% sarà erogato dal governo USA nei prossimi 18 mesi. Due terzi della somma arriverà dalla spesa pubblica e solo un terzo da sgravi fiscali. Il primo obiettivo di questo piano è quello di preservare l’occupazione, e riguardo a questo, il governo ha stanziato 120 miliardi di dollari, di cui 27,5 miliardi per costruire nuovi ponti e autostrade, 8,4 miliardi per i trasporti pubblici, 9,3 miliardi per ferrovie e 15 miliardi di dollari andranno agli acquedotti, ai bacini, alla costruzione di canali e al trattamento e alla pulizia delle acque. Poco meno di 7 miliardi di dollari saranno destinati alla ricerca scientifica, alla Nasa e all’associazione per la ricerca oceanografica e atmosferica.
Una grande parte della spesa pubblica sarà poi destinata alla sanità, 19 miliardi di dollari andranno alle cliniche e ai nuovi sistemi informatici, 10 miliardi alla ricerca per il Cancro, l’Alzheimer, il cuore, le cellule staminali. L’istruzione riceverà invece circa 105 miliardi di dollari, di cui 53,6 miliardi andranno ai singoli stati per le scuole e servizi locali, 13 miliardi agli studenti più meritevoli e bisognosi, ma allo stesso modo 12,8 miliardi saranno destinati per l’assistenza ai bambini disabili.
Circa 37,5 miliardi di dollari verranno investiti nell’energia, nell’ammodernamento delle attuali infrastrutture, nella costruzione di nuove fonti energiche per ridurre gli sprechi e per rendere gli stati meno dipendenti dal petrolio.
In ultimo è stato predisposto un pacchetto di sgravi fiscali e incentivi per i più poveri, per coloro che sono stati appena licenziati, per l’acquisto della prima casa, per i senza tetto, per gli orfanotrofi, per le famiglie più bisognose e per i pensionati.
La nuova politica economica-sociale del nuovo presidente degli Stati Uniti rappresenta un nuovo cambiamento di rotta, che focalizza l’attenzione sulla partecipazione dello Stato nella regolazione dei meccanismi di mercato(non adottare misure protezioniste, meno potere alle lobby bancarie e petrolifere); naturalmente come più volte sottolineato dallo stesso Obama, gli effetti si vedranno solo a lungo termine, ma non appare azzardato dire che inevitabilmente questi influenzeranno in negativo o positivo ogni singolo Stato del mondo.

Sara Monsù
NEL CAOS DELLA NOTIZIA

La distorsione dell'informazione


Difendere il diritto di cronaca è diventata un’impresa ardua per i giornalisti italiani, o perlomeno per quelli che vogliono vedere comparire a tutti i costi il proprio nome sul fondo pagina.
Da qui nasce l’esigenza di ricostituire il sistema informativo e ristabilire i codici interpretativi che si creano tra chi scrive la notizia e chi la legge. Il giornalista, il “facilitatore” della notizia , colui che riordina e semplifica la valanga d’informazioni che in sua assenza assalirebbero i lettori, in questo contesto rischia di rendere questi ultimi malinformati o peggio ancora manipolati.
Forse ha ragione Beppe Grillo quando afferma che in Italia, a differenza degli USA, all’informazione manca la vera competizione, quella che riuscirebbe a restituire una vera identità ai nostri giornalisti e che ci garantirebbe di avere notizie autentiche e degne di rispetto.
Siamo vittime di un sistema mediatico snaturato e distorto, che ha delle matrici lontane e pluralistiche, in cui la pubblicità e la proprietà si contendono la penna del giornalista che più riesca ad ingraziarsi la massa e che sia più disposto a mettere in sordina la propria dignità professionale, pur di accontentare l’elite di “potenti”.
La rubrica della quale mi occuperò cercherà di far risaltare in maniera oggettiva e analitica il fenomeno della distorsione dell’informazione nella stampa italiana: attraverso un’analisi comparativa tra i più importanti quotidiani nazionali, vedremo come la stessa notizia sia spesso riportata mediante l’uso di parole chiave molto diverse tra loro, addirittura contraddittorie; ci si potrà così scontrare con la tendenza manipolatrice nel fare informazione da parte di alcune testate, al punto di mettere in dubbio la veridicità della notizia stessa.

Gioara Rizzo

NEL CAOS DELLA NOTIZIA


Questione paradisi fiscali al G20: quale decisione?

Il G20: anche questa notizia vittima di un’informazione manipolata . In questo articolo si vuole mettere in evidenza la posizione dei vari rappresentanti presa in merito alla questione dei paradisi fiscali e all’accordo riguardo l’aumento del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Se “Il Messaggero” lo definisce SCONTRO, il “Corriere della Sera” e “Repubblica” ne vedono quasi un momento d’INTESA, mentre per “L a Stampa”, il testo riguardo ai paradisi fiscali è SBILANCIATO verso gli USA.

Da: “IL MESSAGERO” 02/04/09
TITOLO: “G2O, SCONTRO SUI PARADISI FISCALI”
DALL’ARTICOLO : “… scontro soprattutto sulla regolamentazione dei paradisi fiscali, mentre sembra più facile la via verso l’accordo per l’aumento del FMI …”

Da :“CORRIERE DELLA SERA” 02/04/09
TITOLO: “ G20, INTESA TRA I LEADER SUI PARADISI FISCALI”
DALL’ARTICOLO: “…. I leader del G20 erano apparsi divisi sull’entità dell’aumento dei fondi per il fondo internazionale monetario FMI”.

Da : “LA STAMPA” 02/04/09
TITOLO: “ I PARADISI FISCALI SPACCANO IL G20”
DALL’ARTICOLO: “… Il testo è sbilanciato verso gli USA”… “Francia e Germania: segni chiari …”

Da : “REPUBBLICA”
TITOLO: “G20, ACCORDO VICINO: PER L’ECONOMIA 1000 MILIARDI DI DOLLARI. SCONTRI SUI PARADISI FISCALI”

Da quanto riportato sopra, si evince che questo modo d’informare potrebbe portare ad una divulgazione pronta esclusivamente a minare la formazione di una coscienza morale propria di ogni cittadino, impedendo così che ciascuno sviluppi autonomamente una capacità critica in una prospettiva socio-dinamica.

Gioara Rizzo
NEL CAOS DELLA NOTIZIA

La strage di Stoccarda


Immagine della scuola di Winnendon dove è stata commessa la strage

Si è consumata a Winnendon , in Germania, la strage degli innocenti che ha visto nuovamente nel mirino della violenza studenti e insegnanti di una scuola superiore.
Erano le 9.30 quando Tim K., ex allievo della scuola Realschule Albertville, ha cominciato il suo massacro. Era vestito di nero come un guerriero ninja, quando l’hanno visto entrare nella prima aula e cominciare a uccidere. Il diciassettenne era freddo e impassibile, passava da una classe all’altra puntando alla testa a ragazzi, poco più che quindicenni, la Beretta presa dall’arsenale del padre. Sedici in tutto le vittime, tra cui tre insegnanti.
La polizia ha condotto ore di caccia all’uomo, allertando tutti i reparti, ma Tim ha continuato a sfogare la sua furia sui passanti, ferendo gravemente due agenti, poi, colpito alla gamba, si è sparato alla testa.
Questa la notizia che il 12 marzo era presente su tutti i quotidiani e i telegiornali.
I media si sono occupati della strage di Winnendon comparandola a quella avvenuta poche ore prima in Alabama.
Paesi come la Germania, la Finlandia e gli USA non sono nuovi a tali eventi e l’opinione pubblica italiana ha cominciato a interrogarsi sul perché di azioni così violente contro luoghi che dovrebbero formare le menti dei giovani.
In Italia non ci sono ancora stati casi del genere e questo fa molto pensare, così nei giorni successivi alla strage i mezzi di comunicazione si sono scatenati alla ricerca di una risposta ai molti interrogativi che un evento come questo suscita in ognuno di noi: cosa ha scatenato tale rabbia ? In che ambiente è cresciuto Tim ? Che ragazzo era ? Perché ha utilizzato quell’arma ?
Ogni Tg ha cercato di fornire una panoramica, più dettagliata possibile, della vicenda in attesa di nuove breaking news da mandare subito in onda, e mentre venivano condotte molte interviste, “vox populi”, per cercare di capire qual’era l’opinione delle persone.
Le risposte della gente si contraddicevano, soprattutto riguardo l’ambiente familiare del killer; l’opinione comune era che un omicida doveva provenire per forza da una situazione famigliare disagiata. Conclusione semplicistica, in una realtà ben più complicata.
Vista la difficoltà a trovare una spiegazione soddisfacente dei fatti, alcuni canali sono ricorsi a speciali dedicati. Per esempio durante TV7, andato in onda il 13 marzo su Rai1 alle 23.40, il conduttore Sassoli interagiva con ospiti, uno scrittore e una psicologa, e con ragazzi liceali e universitari per capire quale disagio poteva portare a tali gesti. Il tema della violenza, nel corso della puntata , è stato analizzato sotto diversi punti di vista, come quello familiare e caratteriale è emerso l’identikit di un ragazzo benestante che andava male a scuola e non aveva amici, che dedicava gran parte della giornata ai videogame violenti in cui vince chi più uccide. Il ragazzo aveva premeditato la sua strage, sapeva dove il padre teneva tutte le sue armi e si era scelto l’abbigliamento.
La violenza manifestata da questo giovane killer ha fatto riflettere sui cambiamenti intervenuti negli anni: prima questa poteva scaturire, ad esempio, da lotte di potere come nel ’68, mentre ora è più un voler apparire, una sorta di emulazione per autodeterminarsi.
Oltre ai tg e ai programmi televisivi e radiofonici, anche nel web sono presenti materiali consultabili ( non filtrati dai media) che permettono maggiori informazioni o semplicemente scambi di opinione sull’evento. Ad esempio, su youtube troviamo immagini del ragazzo vestito da ninja, o forum in cui si discute sulla reale, o meno, responsabilità degli psichiatri di Tim per la morte delle sedici vittime.
Gli interrogativi a cui non si riesce ancora a dare una risposta restano i seguenti: la scuola ha il compito di istruire i ragazzi o anche di educarli ? A chi le maggiori responsabilità: della scuola o dei genitori ?
Ai posteri l’ardua sentenza.

Agnese Paganini

ANALISI DEI FENOMENI SOCIALI

Lo stupro: atto universale

Capita ormai quasi quotidianamente di ascoltare dai mezzi di comunicazione di massa come i reati siano sempre più commessi da stranieri. Tra questi, il più vergognoso, il più mortificante della persona: lo stupro. La percezione diffusa è quella di un male in crescita, che trova i propri colpevoli in pericolosi giochi mediatici. Troppo spesso le statistiche e le informazioni vengono giostrate per criminalizzare o scagionare stranieri piuttosto che per difendere le donne; il rischio è quello di una nuova ondata xenofoba di cui già si sente già l’odore. Le statistiche fornite dal Ministero dell’Interno sui casi di violenza sessuale (reato che comprende anche le molestie fisiche) denunciati in Italia sono chiare: il 60.9% degli italiani è responsabile di violenza sessuale, il 7.8% è imputabile a rumeni e il 6.3% ai marocchini; l’8.4% è la percentuale di diminuzione della violenza nel 2008 rispetto all’anno precedente. E’ proprio di questi giorni la notizia che in Afghanistan sta per essere approvata una legge che renderà lo stupro legittimo in famiglia. Non credo che Bruno Vespa gli abbia dedicato una puntata del suo “Porta a Porta”. Questa retorica, largamente diffusa da giornali e tv, tende ad occultare il fatto che lo stupro è un reato, con radici storiche antiche, le cui fondamenta sono rinvenibili nelle relazioni sociali patriarcali, edificate su un sistema di supremazia dell’uomo e di condizione di sottomissione della donna. In guerra, gli stupri di massa sono stati e sono tuttora una pratica ricorrente, una ricompensa per il vincitore: il ratto delle Sabine, i crociati cristiani a Costantinopoli, le truppe marocchine a Cassino ne sono tutti esempi; il Ruanda e la Bosnia sono solo i casi più recenti. Come spiega il demografo francese Jacques Véron nel suo libro “Il posto delle donne”, lo stupro è un atto universale che non ha confini, e la sua repressione varia da paese a paese. Ad esempio in Turchia il vero crimine è la perdita della verginità, non tanto la violenza in sé. In India, lo stupro collettivo è uno strumento ordinario per addolcire qualsivoglia contrasto. Ma per vergognarci di essere uomini, non dobbiamo andare molto lontano: solo nel 1981 in Italia si è abolita la possibilità del “matrimonio riparatore”, con cui il reato di stupro veniva annullato nel caso in cui lo stupratore sposasse la vittima di violenza. E solo nel 1996 la violenza sessuale è divenuta un atto contro la persona e non un atto di offesa della moralità pubblica. In una intervista campione su 25mila donne italiane del 2006-2007, l’Istat ha fornito dati a dir poco angoscianti: il 91.6% degli stupri non è mai stato denunciato, il 67.7% è commesso da partner e famigliari, il 17.4% da amici e conoscenti e solo il 6.2% attuati da stranieri; il fatto che nella maggioranza dei casi la vittima conosca lo stupratore accentua il suo carattere di apparente ordinarietà.
Ma cosa ci rende così vicini al comportamento animale? Si, animale. Al contrario di quanto si possa pensare, è una pratica molto diffusa nei giovani scimpanzé, elefanti e persino delfini. Chi l’avrebbe mai detto?! Susan Brownmiller in “Contro la nostra volontà” vedeva lo stupro come qualcosa di insito nell’uomo, quasi un agire filogenetico, un istinto incontrollabile volto a garantire la sopravvivenza della specie. Forse è più adeguato parlare di pulsioni perché, come ci ricorda Arnold Gehlen nel suo libro “L’Uomo”, l’istinto è prerogativa animale, è una risposta rigida ad uno stimolo, mentre la pulsione è prerogativa umana, è “una spinta generica a meta indeterminata”. La differenza è notevole, perché dire che l’uomo non ha istinti, ma solo pulsioni significa riuscire a spiegare il fatto che, ad esempio, la sessualità umana può esprimersi indipendentemente dai cicli temporali e dalle situazioni ambientali, può applicarsi a oggetti non sessuali (come nel caso delle perversioni), può essere inibita per adattarsi alla realtà, può essere sublimata per esprimersi nell’arte, nella cultura e nella religione. Proprio perché privo di istinti, l’uomo esige un supplemento di codici culturali, capaci di compensare la genericità delle sue pulsioni. Forse è proprio per questo motivo che lo stupro non ha nazionalità, religione o colore della pelle. Semmai va combattuto attraverso l’integrazione, l’educazione e le battaglie culturali.

Angelo Ceccarelli