domenica 10 maggio 2009

POLITICA ESTERA


La dura realtà dei bambini soldato

La feroce realtà del continente nero comprende e coinvolge anche le storie di molti bambini, che hanno odiato, torturato, devastato se stessi e gli altri. E’ l’agghiacciante realtà dei bambini soldato, ragazzini dagli 8 ai 16 anni che in molte zone del mondo si trovano a combattere al fianco di guerriglieri e bande paramilitari, incuranti quest’ultimi della Convezione di Ginevra, la quale considera il coinvolgimento di minori un crimine di guerra.


Secondo le stime dell’Unicef, sono almeno 300 mila i bambini soldato impegnati attualmente in zone di combattimento. Più di 60 sono i Paesi nei quali è consentito l’arruolamento di volontari di giovane età nelle forze armate: in Mozambico, Uganda, Sierra Leone, Ciad e Sudan i bambini vengono inseriti in reparti paramilitari; in Kenya, Nigeria, Haiti vengono aggregati alle bande armate di criminali che fanno lavori sporchi per i capi politici; in Iraq e Afganistan vengono usati per diventare Kamikaze. Tuttavia, le ong sostengono con fermezza che in genere i bambini non sono volontari, ma sono spesso ragazzi di strada, rapiti e obbligati sotto l’effetto di droghe(cocaina, anfetamine, polvere da sparo bruciata e mischiata col riso, hashish) e alcool a imbracciare un fucile. Anche nel momento in cui riescono a fuggire dalle file dei ribelli, è molto difficile ricostruire le loro vite: le comunità d’origine sono restie a riprenderli con loro, così spesso c’è bisogno di programmi di reinserimento, attuati dalle varie associazioni umanitarie.


Secondo uno studio di casi in Sierra Leone, Nord Uganda e repubblica del Congo, effettuato dall’ong Coopi (recentemente specializzata nel reinserimento di ex-combattenti) con la collaborazione dell’Unicef, risulta che i traumi dovuti alle violenze subite e attuate dai bambini nei conflitti possono essere superati attraverso l’attuazione di programmi psico-sociali, che puntano a reinserire i bambini nelle proprie famiglie. E’ un compito arduo, se si considera che le bambine che hanno subito violenze o che tornano dai conflitti con una gravidanza, non sono più considerate come le altre; una bambina abusata non ha infatti più lo stesso “valore” per la comunità, e difficilmente riuscirà a trovare un marito. Coopi ha creato programmi che valorizzano l’insegnamento di attività che producono reddito, permettendo ai ragazzi di sentirsi utili e facilitando l’accoglienza nelle famiglie. Vengono promosse, inoltre, discussioni individuali o di gruppo, con l’obiettivo di sensibilizzare i genitori e i membri della comunità d’origine, spiegando che i ragazzi sono le prime vittime delle atrocità effettuate. Il periodo in cui un bambino soldato può considerarsi “guarito” è molto lungo, almeno 5-6 anni.
La natura paradossale della storia dei bambini soldato è che in alcuni paesi africani, come il Congo, la Sierra Leone e l’Uganda, vengono diffuse leggende secondo cui i bambini soldato sono stati stregati, e queste provocano grandi diffidenze nella popolazione, limitando così la collaborazione con le organizzazioni non governative preposte a dare loro soccorso.


Naturalmente, il problema dei bambini soldato è solo una parte del lavoro che le organizzazioni umanitarie svolgono nella protezione dell’infanzia colpita dai conflitti armati. L’Unicef lavora con i suoi partner per sostenere anche attività che riguardano la salute, l’istruzione, l’assistenza per i bambini sfollati o rifugiati, la prevenzione dell’HIV/AIDS.


La realtà dei bambini coinvolti nei conflitti è un flagello perpetuo al quale non si riesce a porre fine, molte sono ancora le vittime di giovane età costrette a vivere senza identità e senza futuro; indispensabile è dunque il ruolo delle organizzazioni umanitarie e dei vari governi per la tutela di quell’infanzia che spesso viene sottratta a molti bambini, anche se la difficoltà più grande da superare rimane quella di rendere visibile a livello mediatico i progetti avviati dagli organismi internazionali, poiché se non si riesce ad avere una corretta e chiara informazione da parte dei mass media, le soluzioni a determinate problematiche continueranno a rimanere al buio per gran parte della popolazione mondiale.

Sara Monsù

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