domenica 10 maggio 2009

ANALISI DEI FENOMENI SOCIALI

Lo stupro: atto universale

Capita ormai quasi quotidianamente di ascoltare dai mezzi di comunicazione di massa come i reati siano sempre più commessi da stranieri. Tra questi, il più vergognoso, il più mortificante della persona: lo stupro. La percezione diffusa è quella di un male in crescita, che trova i propri colpevoli in pericolosi giochi mediatici. Troppo spesso le statistiche e le informazioni vengono giostrate per criminalizzare o scagionare stranieri piuttosto che per difendere le donne; il rischio è quello di una nuova ondata xenofoba di cui già si sente già l’odore. Le statistiche fornite dal Ministero dell’Interno sui casi di violenza sessuale (reato che comprende anche le molestie fisiche) denunciati in Italia sono chiare: il 60.9% degli italiani è responsabile di violenza sessuale, il 7.8% è imputabile a rumeni e il 6.3% ai marocchini; l’8.4% è la percentuale di diminuzione della violenza nel 2008 rispetto all’anno precedente. E’ proprio di questi giorni la notizia che in Afghanistan sta per essere approvata una legge che renderà lo stupro legittimo in famiglia. Non credo che Bruno Vespa gli abbia dedicato una puntata del suo “Porta a Porta”. Questa retorica, largamente diffusa da giornali e tv, tende ad occultare il fatto che lo stupro è un reato, con radici storiche antiche, le cui fondamenta sono rinvenibili nelle relazioni sociali patriarcali, edificate su un sistema di supremazia dell’uomo e di condizione di sottomissione della donna. In guerra, gli stupri di massa sono stati e sono tuttora una pratica ricorrente, una ricompensa per il vincitore: il ratto delle Sabine, i crociati cristiani a Costantinopoli, le truppe marocchine a Cassino ne sono tutti esempi; il Ruanda e la Bosnia sono solo i casi più recenti. Come spiega il demografo francese Jacques Véron nel suo libro “Il posto delle donne”, lo stupro è un atto universale che non ha confini, e la sua repressione varia da paese a paese. Ad esempio in Turchia il vero crimine è la perdita della verginità, non tanto la violenza in sé. In India, lo stupro collettivo è uno strumento ordinario per addolcire qualsivoglia contrasto. Ma per vergognarci di essere uomini, non dobbiamo andare molto lontano: solo nel 1981 in Italia si è abolita la possibilità del “matrimonio riparatore”, con cui il reato di stupro veniva annullato nel caso in cui lo stupratore sposasse la vittima di violenza. E solo nel 1996 la violenza sessuale è divenuta un atto contro la persona e non un atto di offesa della moralità pubblica. In una intervista campione su 25mila donne italiane del 2006-2007, l’Istat ha fornito dati a dir poco angoscianti: il 91.6% degli stupri non è mai stato denunciato, il 67.7% è commesso da partner e famigliari, il 17.4% da amici e conoscenti e solo il 6.2% attuati da stranieri; il fatto che nella maggioranza dei casi la vittima conosca lo stupratore accentua il suo carattere di apparente ordinarietà.
Ma cosa ci rende così vicini al comportamento animale? Si, animale. Al contrario di quanto si possa pensare, è una pratica molto diffusa nei giovani scimpanzé, elefanti e persino delfini. Chi l’avrebbe mai detto?! Susan Brownmiller in “Contro la nostra volontà” vedeva lo stupro come qualcosa di insito nell’uomo, quasi un agire filogenetico, un istinto incontrollabile volto a garantire la sopravvivenza della specie. Forse è più adeguato parlare di pulsioni perché, come ci ricorda Arnold Gehlen nel suo libro “L’Uomo”, l’istinto è prerogativa animale, è una risposta rigida ad uno stimolo, mentre la pulsione è prerogativa umana, è “una spinta generica a meta indeterminata”. La differenza è notevole, perché dire che l’uomo non ha istinti, ma solo pulsioni significa riuscire a spiegare il fatto che, ad esempio, la sessualità umana può esprimersi indipendentemente dai cicli temporali e dalle situazioni ambientali, può applicarsi a oggetti non sessuali (come nel caso delle perversioni), può essere inibita per adattarsi alla realtà, può essere sublimata per esprimersi nell’arte, nella cultura e nella religione. Proprio perché privo di istinti, l’uomo esige un supplemento di codici culturali, capaci di compensare la genericità delle sue pulsioni. Forse è proprio per questo motivo che lo stupro non ha nazionalità, religione o colore della pelle. Semmai va combattuto attraverso l’integrazione, l’educazione e le battaglie culturali.

Angelo Ceccarelli

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