martedì 19 maggio 2009

POLITICA INTERNA

La Festa dei P
irati


Alla Festa dei Pirati, sabato 28/3 alla Garbatella, a Roma, si è discusso del diritto d'autore nel cyberspace molto poco messo in risalto dai media tradizionali, se non negli ultimi mesi con l'assurda proposta di legge [vedi Sarkozy] che prevedeva la disconnessione degli utenti “pirati”. Fortunatamente la legge è stata bocciata ma non è detta l'ultima parola... La festa è stata ideata dal giornalista Luca Neri, e supportata da vari hacker attivisti ed esperti del P2P. Si è parlato di copyright con posizioni intermedie ed equilibrate, esemplificate nel sistema delle licenze Creative Commons e nel cosiddetto Copyleft, il permesso d'autore. La festa si è aperta con l'introduzione al P2P fatta dai sottoscritti Andrea Tavi e Franco Noè; noi abbiamo fatto una piccola introduzione sul P2P anche se il pubblico in sala era del settore come noi. E’ stato divertente, con domande e approfondimenti. Sono seguiti gli interventi degli avvocati Marco Scialdone e Guido Scorza, dei due rappresentanti di Piratbyran/The Pirate Bay Magnus Eriksson e Johan Allgoth, poi Athos Gualazzi presidente associazione Partito Pirata, i ragazzi di TNT Village, Giovan Battista Gallus e Francesco Paolo Micozzi ed infine gli avvocati difensori di The Pirat Bay, e il Prof. Arturo di Corinto. Quello che è sicuramente sotto gli occhi di tutti e rappresenta un dato di fatto da non trascurare è che i due terzi del traffico internet è generato da protocolli peer2peer, cioè in parole povere da utenti sparsi in tutto il mondo che scaricano contenuti. Non si può non prendere atto di questo e quindi far finta di non rispondere alla domanda che sorge spontanea: chi sono i pirati digitali? Figura, quella del pirata P2P, che per certi versi è tratteggiata dai media e a volte confusa con quella dell'hacker, o peggio con il cyber-criminale, un delinquente, il che genera un circolo vizioso di luoghi comuni e ignoranza rappresa. La risposta alla domanda suddetta invece deve prendere in esame più variabili e chiedersi come i processi sociali ed economici stiano evolvendo con lo sviluppo delle nuove tecnologie. Bisogna ripensare i modelli di business, per esempio del mercato della musica, e creare nuove leggi che facciano degli 'usi comuni' non più uno stendardo piratesco, ma un preciso insieme di materia di studio e di analisi per il futuro.


Andrea Tavi e Franco Noè
NEL CAOS DELLA NOTIZIA

Complotto o non complotto. Il “Papi” minimizza

No, non stiamo per parlare della festa del papà, anche perché marzo è passato.
L’argomento che ha infiammato le poltrone dei nostri più importanti talk show riguarda una notizia di importanza direi nazionale, che potrebbe far variare notevolmente l’equilibrio del nostro Bel Paese: Il Premier Silvio Berlusconi ha partecipato al diciottesimo compleanno di Noemi e questo sta causando il divorzio dalla moglie Veronica Lario.
Sì, è di nuovo lui il protagonista della scena italiana, il caro e ormai stagionato cavaliere continua a far parlare di sé, non per vicende politiche ma sempre per “colpa” delle donne, o come in questo caso di minorenni.
Tutto nasce dalla presunta candidatura di alcune veline alle Europee e dalla prima dichiarazione della Lario sulla vicenda: “Ciarpame senza pudore”. Dichiarazione che non lascia fraintendimenti.
Le reazioni, non solo della stampa ma di tutti i media, non tardano a farsi sentire.
Il Cavaliere, in seguito al commento della moglie, provvede celermente a cancellare dalle liste le veline, non potendo evitare il clamore che la notizia già aveva suscitato.
Certo è che il binomio Berlusconi-donne non è una novità. Il premier spesso è stato “paparazzato” con molte donne in diverse occasioni, tanto da non stupircene più, ma questa sua ultima mossa non è passata in sordina e come primo inquisitore si è ritrovato la moglie.
La prima linea di difesa e attacco del Cavaliere è stata quella di accusare di “complotto” la sinistra e i giornali, per aver “sobillato la signora”; ma ancora non si parlava di divorzio.
La situazione precipita quando esce la notizia che il Premier ha partecipato alla festa dei diciotto anni di Noemi Letizia, con tanto di foto.
“Per me è come se fosse un secondo padre, mi ha allevata..nessuno c’avrebbe creduto alla mia amicizia con ‘papi’ Silvio,ora invece l’hanno visto tutti”.
Questo è l’evento scatenante che porta Berlusconi e Veronica a un confronto pubblico e diretto, dove lei lascia dichiarazioni e interviste alla stampa e lui di tutta risposta occupa una rete pubblica per dare una sua versione della vicenda.
Che lo show abbia inizio.
Gli ultimi commenti della Lario non fanno altro che alzare il polverone che inesorabilmente avvolge il Premier, le parole della moglie suonano fredde e pesanti: “Chiudo il sipario sulla mia vita coniugale..non posso più andare a braccetto con questo spettacolo”.
I media impazziscono.
Le trasmissioni naturalmente si organizzano per commentare la notizia sulla cresta dell’onda.
Tra i programmi che si occupano esclusivamente di questa vicenda di importanza (inter)nazionale troviamo Porta a Porta, dove però, come accennato precedentemente, non c’è confronto, c’è solo un ospite, anzi l’Ospite che monopolizza tutta la trasmissione.
Berlusconi infatti utilizza il programma di Vespa per dire la sua, come dimostra il motto collocato alle sue spalle per l’occasione: Ora parlo io.
«È una menzogna che io frequenti ragazze minorenni ». «Avendo un’ora di anticipo sono andato al ristorante dove si festeggiava Noemi per parlare con il padre Elio..». «Mia moglie è caduta in una trappola» dichiara il Cavaliere tentando di minimizzare la situazione.
Altra trasmissione che ha dedicato una puntata alla vicenda è Anno Zero che naturalmente non ha fatto attendere l’altra faccia della medaglia.
La puntata inizia con il solito Travaglio che subito mette in luce alcuni punti oscuri o del tutto tralasciati della vicenda.
“Nessuna velina né prima né dopo nelle liste..menzogne delle gazzette della sinistra” queste le parole di Berlusconi; peccato che anche “il Giornale” (della famiglia Berlusconi) avesse fornito le stesse informazioni.
Diversi quesiti sorgono durante la puntata: Perché parlare di privacy per le candidature alle Europee? “Libero” e “Il Giornale” sono gazzette di sinistra? Che rapporto c’è tra Noemi e il Premier? Il padre della ragazza che influenza ha su Berlusconi?
Tutte domande proibite a Porta a Porta che, ci fa notare Travaglio, nessuno ha posto.
“Gli faccio compagnia, lui mi chiama, mi dice che ha qualche momento libero, poi io lo raggiungo, resto ad ascoltarlo, ed è questo che lui vuole da me”, “perché lui poverino non può sempre venire a Napoli”, parole della neodiciottenne*.
Il pensiero della Lario è chiaro quando alla domanda : “Se invece di un’avventura galante fosse una sua figliuola?” Veronica risponde “Magari..”.
Santoro conduce un equo confronto fra le parti, nel quale non mancano cadute di stile per Ghedini, avvocato del Cavaliere.
Programma che nel complesso ci presenta una visione diversa della vicenda e fa nascere nuove perplessità sulle candide azioni di Berlusconi.
La trasmissione della Dandini “Parla con me” non poteva mancare all’appello, non incentrando però tutta la puntata sulla vicenda Berlusconi-Lario, ma, ironicamente, facendo ascoltare una canzoncina creata per l’occasione da Andrea Rivera, per descriverne l’excursus.
Si è occupata della notizia anche la Gruber nel suo “Otto e mezzo”, nel quale il confronto con gli ospiti si è incentrato più su “veline sì o veline no” e su quale fosse la reale responsabilità di Berlusconi.
La gente si è trovata a dover esprimere un parere sulla vicenda: “ Veronica ha fatto bene a parlare pubblicamente e chiedere il divorzio?” Interrogativo che tutt’ora appassiona gli italiani.
Molti sono i commenti che si possono raccogliere sul web, come l’intervista colorita di Cacciari a Repubblica tv.it
L’importanza di questa notizia è stata in grado di mettere in moto i diversi mezzi d’informazione e al tempo stesso tralasciare eventi meno salienti (in termini di notiziabilità) come ad esempio la morte di una donna tunisina al Cie di Ponte Galeria .
Ora la domanda che non fa dormire gli italiani è: cosa succederà nella prossima puntata?

Agnese Lud Paganini
NEL CAOS DELLA NOTIZIA

NOTIZIE IN PRIMO PIANO: “L’EFFETTO-POSIZIONE”

Per continuare la nostra analisi sulla notizia “distorta” italiana, prendiamo questa volta in considerazione l’impostazione dell’homepage di alcuni quotidiani nazionali, esattamente “La Stampa.it”, “La Repubblica .it” e “Il Messaggero .it”, tentando in questa maniera di cogliere, senza il sostegno di alcuna immagine, lo “effetto-posizione” della notizia.
Un’informazione, se collocata in primo piano sulla homepage con affianco un’immagine impetuosa, riceverà sicuramente un’attenzione diversa dal lettore, rispetto alla notizia inserita invece in sordina, magari a fondo pagina, nonostante la medesima catalogazione come notizia importante, in quanto messa tra quelle in primo piano.
Risulta così affascinante come, prendendo ad esempio le notizie del 14 maggio 2009 e osservando la loro posizione, si riesca a innescare un processo analitico per rilevare una qualsiasi diversità nel fare informazione: si nota dunque come all’unanimità i tre quotidiani nazionali considerati, abbiano scelto di enfatizzare allo stesso modo, con toni simili e immagini d’impatto, la notizia relativa al voto finale concernente il nostro DDL Sicurezza, che vede il Ministro dell’Interno Maroni pronto a “contrastare i clandestini con ogni mezzo”.
Per quanto riguarda le notizie dall’estero, si osserva che “La Stampa” pone la sua attenzione sul viaggio del Papa in Terra Santa, accompagnando l’articolo da un’immagine modesta e da alcuni video che documentano le tappe del soggiorno del Pontefice. La stessa notizia dimostra invece di avere minore rilevanza per “La Repubblica”, che la pone a metà pagina con una piccolissima immagine, per arrivare infine a “Il Messaggero”, che sceglie di posizionarla in ultima riga, privandola di qualunque rappresentazione grafica.
Ma la nostra analisi continua, passando dall’effetto-posizione all’effetto-omissione, poiché se per “La Stampa” la crescita della Fiat in Europa è una notizia da mettere in primo piano nell’homepage, “La Repubblica” e “Il Messaggero” non ne colgono l’importanza; bensì “La Repubblica” preferisce dare maggiore abbrivio all’inchiesta di Fini sui diritti degli omosessuali e “Il Messaggero” decide invece di soffermarsi sull’agenda impegnata del nostro Presidente, titolando l’articolo in questione come segue: “Europee, Veronica e la crisi: campagna elettorale a tappeto per Berlusconi”.
Dopo questo tentativo di analisi, si spera sufficientemente accurato, non ci resta altro che provare a leggere le notizie in maniera più distaccata, così da formarci una coscienza critica riguardo le informazioni che costantemente ci assalgono e che forse in alcuni casi ci impediscono di guardare al di là
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Gioara Rizzo
ANALISI DEI FENOMENI SOCIALI

L’ossessione dell’invasione: l’immigrazione in Italia fra etnocentrismo, pregiudizi e stereotipi

L’Italia, comunemente ritenuta un paese di emigrazione (e che continua ad esserlo), è diventata negli ultimi decenni un grande paese di immigrazione; si è infatti verificato un continuo aumento degli arrivi e di conseguenza delle presenze in Italia. A partire dagli anni Ottanta, il nostro paese è andato configurandosi come una società multietnica, costituita da individui provenienti da ogni parte del mondo con la speranza di una vita migliore per sé e i propri figli. Secondo le stime dei sociologi, l’immigrazione italiana ha ormai largamente superato i quattro milioni di unità, a cui è seguito un ininterrotto variare delle nazionalità dei soggetti in entrata nel nostro Paese. I dati Istat rivelano che gli stranieri residenti in Italia sono passati, tra il 2002 e il 2007, da 1.549.373 a 3.432.651. Probabilmente, il divario numerico tra le stime dei sociologi e i dati Istat deriva dal fatto che ancora molti immigrati sono in attesa di essere regolarizzati e di ricevere la residenza anagrafica.
Il fenomeno dell’immigrazione pone, inevitabilmente, problemi di convivenza tra etnie diverse. Da un lato si riscontra una difficoltà di adattamento da parte degli immigrati in un nuovo contesto culturale, cui si aggiunge l’incomprensione della lingua e problemi di tipo economico. Dall’altro sono associati problemi riguardanti la scarsa disponibilità all’accettazione e all’integrazione da parte della comunità ospitante. Infatti, nella maggior parte dei casi, gli immigrati sono considerati dal Paese in cui giungono come intrusi e pericolosi, responsabili dell’aumento della disoccupazione e della criminalità; a ciò seguono talvolta crescenti atteggiamenti di discriminazione ed esclusione e, purtroppo, sempre di più si riscontra aperta ostilità, violenza e razzismo. Secondo i dati del Viminale, i tassi di criminalità degli italiani e stranieri regolari sono pressoché gli stessi. Questo, forse, rende chiaro che il problema è legato all’integrazione degli strati più poveri e non regolari del flusso migratorio. Tuttavia, il processo di incontro etnico-culturale non è mai facile, né immediato, come viene tra l’altro spiegato da molte teorie della psicologia sociale: visioni etnocentriche, pregiudizi e stereotipi sono spesso il risultato di molteplici fattori che hanno origine storica, culturale, sociale ed individuale. E con questi vanno a braccetto da un lato i mezzi di comunicazione che, agendo sui meccanismi emotivi, forniscono modelli per la formazione degli stereotipi. Dall’altro lato, e per gli stessi motivi, la politica, attraverso una tematizzazione del problema dell’immigrazione, che troppo spesso manca il bersaglio. Ma la faccenda è sotto i nostri occhi, e non bisogna essere psicologo o sociologo per capire che la comunità ospitante pone dei limiti, legati a motivi culturali, religiosi, linguistici ed economici, verso coloro che sono ritenuti diversi. E come sta accadendo nel nostro Paese, non c’è rispetto nemmeno degli accordi internazionali. L’attuale governo si dimentica che gran parte dell’immigrazione in Italia arriva con l’aereo a Fiumicino o con il bus alla Stazione Tiburtina e non dal mare. I flussi non si fermano rispedendo barconi carichi di profughi in Libia. Il problema reale è che in Italia per le politiche destinate all’immigrazione si spende una cifra irrisoria rispetto ai paesi europei colpiti dal problema, come la Spagna. E questi fondi sono per l’80% spesi per politiche di repressione o respingimento, e solo il 20% per politiche di integrazione. Pochi, troppo pochi.
Angelo Ceccarelli
OLTRE IL CRIMINE

Le donne abusano o proteggono?

Ognuno di noi, almeno una volta, ha sentito parlare di pedofilia; l’idea che i mass media ci trasmettono si limita all’atto dell’abuso, per questo cercherò di spiegare innanzitutto chi è il pedofilo e soprattutto di abolire il luogo comune che si possa trattare solamente di uomini.

Secondo il DSM-IV
il pedofilo è “Chi, durante un periodo di almeno sei mesi, manifesti fantasie, impulsi sessuali o comportamenti ricorrenti e intensamente eccitanti, che comportano attività sessuale con uno o più bambini prepuberi. Specificare se attratto da maschi, femmine o da entrambi e specificare se limitato all’incesto”.
Questa è la definizione scientifica che viene data sull’argomento, ma di certo si limita ad una semplice classificazione, non sviluppa interrogativi su chi siano i bambini maggiormente a rischio, sul perché potrebbero svilupparsi meccanismi di incesto o sul perché persone apparentemente “normali” celano un’identità nascosta.

Da sempre la figura del pedofilo è stata associata all’uomo, ma da qualche anno occorre fare una distinzione, in quanto il fenomeno si è diffuso anche tra le donne.
Apparentemente risulta inconcepibile che una madre, dotata di istinto protettivo innato verso i propri figli, possa commettere atti simili; ancora una volta, abbiamo l’esempio di come qualsiasi opinione o giudizio incardinato nella nostra società possa demolirsi in un attimo.

Dietro ogni abuso si nascondono come sempre una vittima e un carnefice, ma soprattutto vi è una storia, si celano delle persone che il più delle volte agiscono in silenzio e altre, come le donne, che vorrebbero spezzare questo silenzio, ma spesso si ritrovano ad essere complici.
Si tratta di donne di tutti i tipi: al contrario dello stereotipo maschile che privilegia uomini di bassa estrazione sociale e culturale, il ruolo delle donne è caratterizzato da un abuso di tipo attivo e cercato, per motivi di piacere e denaro o da un abuso definito “assistito”, compiuto da altri e taciuto e il più delle volte molto facilitato.

Non bisogna sottovalutare, inoltre, l’associazione tra pedofilia e turismo sessuale; spesso in televisione vengono proposti programmi che trattano questi argomenti, ma si concentrano soprattutto sugli uomini. Perché non ci vogliono far conoscere tutti gli aspetti dei fenomeni sociali e soprattutto, perché sottovalutare quegli elementi poco conosciuti, ma allo stesso tempo maggiormente inquietanti?
Negli ultimi anni, è stato definito il profilo della turista sessuale europea occidentale o statunitense, generalmente ricca e di mezza età, che usufruisce di un kit di ormoni e droghe da somministrare ai bambini che verranno abusati.
La Società di Endocrinologia Pediatrica ha spiegato che la somministrazione di questi ormoni nei bambini provocherebbe, oltre al notevole danno psicologico, anche danni e ritardi per quanto riguarda la crescita stessa del bambino.

Chiunque ha il diritto di conoscere questi aspetti, solamente in questo modo possiamo distaccare le riflessioni dai pregiudizi; il più delle volte le situazioni si aggravano per la mancanza di informazioni vere e complete; spesso si avanzano ipotesi e opinioni per sentito dire e così il tutto si complica e il pregiudizio si incardina sempre di più all’interno del contesto sociale.
Come possiamo aiutare le vittime o prevenire determinati fenomeni se non conosciamo realmente cosa c’è dietro? L’ignoranza è sempre stata una dei maggiori punti di forza per chi detiene il potere dell’informazione; per fortuna ci sono persone che ogni giorno si impegnano per la prevenzione del crimine e di tutti gli aspetti ad esso legati.
Considerando il momento di crisi che la nostra società sta attraversando su tutti i versanti, forse è arrivato il momento di conoscere realmente e di attivarsi affinché venga nuovamente riconosciuto il valore della dignità umana.

Clizia Piras

[1] Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali

domenica 10 maggio 2009

POLITICA INTERNA

Berlusconi minaccia i media. Un altro "editto bulgaro"?

Quando un’espressione entra nella storia di un paese vuol dire che questa è legata ad un evento significativo. È il caso di “editto bulgaro”, locuzione coniata nel 2002, quando Berlusconi accusò di fare un “uso criminoso” della tv pubblica Michele Santoro, Enzo Biagi e Daniele Luttazzi, che furono allontanati dalla Rai.
Sono passati solo sette anni da allora, ed ecco che Berlusconi ha nuovamente criticato i media italiani. A differenza del 2002, quando il premier parlò da Sofia, stavolta è stata Praga la sede dell’attacco ai mezzi d’informazione.
Dopo la trasmissione delle immagini del Cavaliere impegnato al telefonino mentre Angela Merkel lo attendeva per una cerimonia ufficiale al vertice Nato di Strasburgo, Berlusconi, che ha affermato che il suo interlocutore telefonico era il primo ministro turco Erdogan, ha dichiarato che «questa è calunnia nei miei confronti e disinformazione nei confronti dei lettori, quindi a un certo momento non voglio arrivare a dire di fare azioni dirette e dure nei confronti di certi giornali e di certi protagonisti della stampa, però sono tentato perché non si fa così».
Le dichirazioni del presidente del Consiglio diventano quasi minatorie: «voi pensate che se io dico: non guardate più una tv o altro, non c’è nessuno che mi segue in Italia?» ha detto ai giornalisti, che il giorno prima aveva additato come “nemici dell’Italia”, spiegando che «io lavoro con l’Italia e io non parlo con chi lavora contro l’Italia».
A Berlusconi non è piaciuta nemmeno la scelta di mandare in onda il filmato con il rimprovero della Regina d’Inghilterra, ma già nel mese scorso egli aveva definito la Rai come «l’unica tv di Stato che attacca il governo in carica».
Sembra che il presidente del Consiglio stia in qualche modo spianando la strada ad una nuova ondata di provvedimenti che danneggino o limitino l’informazione, e ciò è inaccettabile in un paese che dovrebbe essere “democratico”. E ancor più lo è se l’autore di questo è colui che grazie alle televisioni di sua proprietà è riuscito a costruirsi un impero economico e un potere politico indiscussi.

Andrea Pranovi
POLITICA INTERNA

Cgil: due milioni e mezzo in piazza contro il governo

La solita battaglia sulle cifre: secondo gli organizzatori due milioni e mezzo di persone, secondo la questura duecentomila. Di sicuro non c’erano i tre milioni di persone che nel 2002 Cofferati portò in piazza per dire no alle modifiche dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Comunque, Roma è stata invasa dalle bandiere rosse della Cgil contro le scelte del Governo per combattere la crisi economica.
Nella capitale sono arrivati quaranta treni, due navi e settemila pullman. Da piazza della Repubblica, piazza Ragusa, piazzale dei Partigiani, piazzale dei Navigatori e piazzale delle Crociate sono partiti cinque cortei che, con lo slogan “Futuro Sì Indietro No”, hanno raggiunto il Circo Massimo.
Il segretario della Cgil Epifani ha apertamente chiesto a Berlusconi di «aprire un tavolo di confronto sulla crisi» e ha affermato che «se non si provvede a una giustizia fiscale, e si favoriscono solo il capitale e le rendite, il paese sarà sempre più immobile nelle gerarchie sociali. Se continuano a ridursi gli spazi di contrattazione il mondo del lavoro sarà sempre più debole, sempre più il Paese dei furbi e dei furbetti». Epifani ha poi lanciato un appello agli altri sindacati: «Conviene anche al nostro Paese farsi già adesso un’idea di come mettere a punto un modello di sviluppo sostenibile. Spero che su questo tema anche Cisl e Uil possano essere disponibili: abbiamo bisogno della forza di tutto il sindacato. E anche di Confindustria».
Alla manifestazione hanno preso parte anche i leader di alcuni dei principali partiti del centro-sinistra, da Franceschini a Ferrero, da Vendola a Diliberto, da Cento alla Francescato. Tra gli esponenti del Pd in piazza Damiano, Bersani, Fassino, Veltroni, Cofferati e Bassolino.
Dal palco del Circo Massimo hanno parlato anche un operaio cassintegrato di Pomigliano D’Arco, una pensionata romana, un’insegnante precaria di Cremona, un immigrato ghanese e un medico siciliano. Presentati da Massimo Wertmuller si sono esibiti Shel Shapiro, il pianista Luis Enrìquez Bacalon, le band Casa del Vento e Modena City Ramblers e gli attori Paolo Hendel, nelle vesti di CarCarlo Pravettoni, e Pierfrancesco Favino.
Quella del 4 aprile è la più grande manifestazione dalle elezioni 2007, il che indica l’importanza del sindacato come forza d’opposizione politica, soprattutto in un momento caratterizzato da un Pd lacerato dai dissidi interni, da una sinistra radicale sempre più frammentata e ancora stordita dal tonfo elettorale e da un’ Italia dei valori concentrata quasi esclusivamente sul tema della giustizia.

Andrea Pranovi
POLITICA ESTERA


La dura realtà dei bambini soldato

La feroce realtà del continente nero comprende e coinvolge anche le storie di molti bambini, che hanno odiato, torturato, devastato se stessi e gli altri. E’ l’agghiacciante realtà dei bambini soldato, ragazzini dagli 8 ai 16 anni che in molte zone del mondo si trovano a combattere al fianco di guerriglieri e bande paramilitari, incuranti quest’ultimi della Convezione di Ginevra, la quale considera il coinvolgimento di minori un crimine di guerra.


Secondo le stime dell’Unicef, sono almeno 300 mila i bambini soldato impegnati attualmente in zone di combattimento. Più di 60 sono i Paesi nei quali è consentito l’arruolamento di volontari di giovane età nelle forze armate: in Mozambico, Uganda, Sierra Leone, Ciad e Sudan i bambini vengono inseriti in reparti paramilitari; in Kenya, Nigeria, Haiti vengono aggregati alle bande armate di criminali che fanno lavori sporchi per i capi politici; in Iraq e Afganistan vengono usati per diventare Kamikaze. Tuttavia, le ong sostengono con fermezza che in genere i bambini non sono volontari, ma sono spesso ragazzi di strada, rapiti e obbligati sotto l’effetto di droghe(cocaina, anfetamine, polvere da sparo bruciata e mischiata col riso, hashish) e alcool a imbracciare un fucile. Anche nel momento in cui riescono a fuggire dalle file dei ribelli, è molto difficile ricostruire le loro vite: le comunità d’origine sono restie a riprenderli con loro, così spesso c’è bisogno di programmi di reinserimento, attuati dalle varie associazioni umanitarie.


Secondo uno studio di casi in Sierra Leone, Nord Uganda e repubblica del Congo, effettuato dall’ong Coopi (recentemente specializzata nel reinserimento di ex-combattenti) con la collaborazione dell’Unicef, risulta che i traumi dovuti alle violenze subite e attuate dai bambini nei conflitti possono essere superati attraverso l’attuazione di programmi psico-sociali, che puntano a reinserire i bambini nelle proprie famiglie. E’ un compito arduo, se si considera che le bambine che hanno subito violenze o che tornano dai conflitti con una gravidanza, non sono più considerate come le altre; una bambina abusata non ha infatti più lo stesso “valore” per la comunità, e difficilmente riuscirà a trovare un marito. Coopi ha creato programmi che valorizzano l’insegnamento di attività che producono reddito, permettendo ai ragazzi di sentirsi utili e facilitando l’accoglienza nelle famiglie. Vengono promosse, inoltre, discussioni individuali o di gruppo, con l’obiettivo di sensibilizzare i genitori e i membri della comunità d’origine, spiegando che i ragazzi sono le prime vittime delle atrocità effettuate. Il periodo in cui un bambino soldato può considerarsi “guarito” è molto lungo, almeno 5-6 anni.
La natura paradossale della storia dei bambini soldato è che in alcuni paesi africani, come il Congo, la Sierra Leone e l’Uganda, vengono diffuse leggende secondo cui i bambini soldato sono stati stregati, e queste provocano grandi diffidenze nella popolazione, limitando così la collaborazione con le organizzazioni non governative preposte a dare loro soccorso.


Naturalmente, il problema dei bambini soldato è solo una parte del lavoro che le organizzazioni umanitarie svolgono nella protezione dell’infanzia colpita dai conflitti armati. L’Unicef lavora con i suoi partner per sostenere anche attività che riguardano la salute, l’istruzione, l’assistenza per i bambini sfollati o rifugiati, la prevenzione dell’HIV/AIDS.


La realtà dei bambini coinvolti nei conflitti è un flagello perpetuo al quale non si riesce a porre fine, molte sono ancora le vittime di giovane età costrette a vivere senza identità e senza futuro; indispensabile è dunque il ruolo delle organizzazioni umanitarie e dei vari governi per la tutela di quell’infanzia che spesso viene sottratta a molti bambini, anche se la difficoltà più grande da superare rimane quella di rendere visibile a livello mediatico i progetti avviati dagli organismi internazionali, poiché se non si riesce ad avere una corretta e chiara informazione da parte dei mass media, le soluzioni a determinate problematiche continueranno a rimanere al buio per gran parte della popolazione mondiale.

Sara Monsù

POLITICA ESTERA


La grande sfida di Obama

L'Afganistan è il più grosso problema che il presidente americano si troverà ad affrontare nei prossimi anni, e per la stabilità in Asia,molto dipenderà dalla riuscita pacificazione dell'area.

Il presidente Barack Obama lo sa bene e infatti lo aveva già ribadito prima delle elezioni: il Pakistan e l’Afganistan sono due paesi che si trovano ai primi posti nelle priorità del suo programma di politica estera. E fra queste due si inserisce la potenza indiana, che letteralmente diventa l'ago della bilancia di una situazione potenzialmente molto esplosiva. Senza contare la sempre più grande influenza che l’Iran ha nella zona, e i suoi buoni rapporti con tutte le nazioni prima citate.

Non è difficile capire il perché. Sette anni dopo che i Talebani furono privati del potere, il movimento islamico ha ristabilito la sua presenza nel 70% dell’Afghanistan, e in parte lo controlla. Lo stesso vale per il Pakistan, anche se con sfumature diverse, che vacilla sull’orlo del collasso per una faida tribale all'interno del paese, e anche a causa della rinascita talebana che rende i suoi confini altamente instabili: la sua frontiera nord-occidentale è invasa da militanti islamici, inclusi un gruppo autoctono talebano e una rinvigorita al-Qaeda.
Secondo i maggiori esperti militari, i più grossi problemi provengono dai “rifugi” dei Talebani e di Al-Qaeda nelle indomabili aree tribali del Pakistan,nel confine afghano: secondo la NATO e la CIA, sono questi campi di addestramento quelli che contribuiscono di più all'imponente afflusso di combattenti stranieri in Afganistan.
Una prima mossa della nuova amministrazione americana, in particolar modo voluta dal neo-presidente, è stata quella di incrementare ulteriormente il numero di soldati nel teatro di guerra afgano, portandoli a 52.000
effettivi; ma tutto ciò potrebbe non comportare un reale miglioramento della situazione.

All'epoca della guerra sovietica, Mosca comprese che l’impossibilità di colpire le basi di rifornimento ed i campi di addestramento del nemico rendeva inutile un semplice aumento di forze. I guerriglieri afghani morti venivano rimpiazzati da altri. Interi gruppi di questi venivano dal Pakistan e da altre nazioni amiche, portando armi americane, cinesi e sovietiche (ottenute da alcuni ex alleati dell’Unione Sovietica) e tutto ricominciava da capo.
Ciò che sta accadendo adesso è quasi esattamente la stessa cosa. Gli Stati Uniti stanno combattendo contro una guerriglia sostenuta dall’estero, dall’Iran e dal Pakistan. Non possono eliminare le sue basi all’estero e, soprattutto l'attuale amministrazione, non può permettersi di andare a scovare i terroristi in qualsiasi parte del mondo (almeno non come teorizzava l'amministrazione Bush). Anche se questa teoria non coincide con l'attuale aumento delle truppe USA che servono per impadronirsi nuovamente, e mantenendone il controllo, del territorio ceduto ai ribelli. Oltre tutto, nonostante anni di risultati infruttuosi, si continua con la strategia già più volte sperimentata negli ultimi anni in Afghanistan e in Pakistan, ciòè la controversa politica dei “drone” di George Bush: missili sganciati da aerei nelle aree tribali senza pilota della CIA, contro presunti “bersagli” di al-Qaeda e dei Talebani, con tutte le vittime civili ed il rancore che ciò scaturisce nella popolazione. Nonostante l’indubbio vantaggio militare, tutto ciò ha anche dimostrato che combattere una guerra, insurrezione terroristica o resistenza popolare, non significa semplicemente vincere una battaglia sul campo, ma anche e soprattutto assicurare la pace tramite la ricostruzione delle infrastrutture e del tessuto sociale distrutto dal conflitto. Scacciare i Talebani verso il confine con il Pakistan è una cosa, ma sradicarli completamente e metterli definitivamente fuori gioco è tutta un'altra questione. La vittoria, in questo senso, può essere raggiunta solo distruggendo il terreno culturale in cui essi prosperano: l’odio per l’invasore, la povertà e l’ignoranza.

A novembre il primo ministro pachistano Youssef Raza Gilani aveva “sperato” che Obama intendesse porre fine al “controproducente” metodo dei drone. I segnali attuali indicano che il presidente potrebbe incrementare queste azioni se il Pakistan dovesse “fallire nell’intraprendere azioni” contro i Talebani e al-Qaeda. Potrebbe indicare un futuro irrigidimento dei rapporti tra Washington e Islamabad, anche se l'alleanza strategica è sempre un capisaldo dei rapporti fra le due nazioni. Infine, ma non per importanza, c'e' il nodo cruciale del Kashmir, su cui si sono consumati decenni di lotta intestina fra India e Pakistan.
Obama sa bene che risolvere il problema del Kashmir significherebbe trovare una stabilità ai rapporti tra due potenze atomiche dell'Asia. Aveva infatti dichiarato prima della sua elezione:“Dovremmo cercare di risolvere la crisi del Kashmir in modo che il Pakistan possa rimanere concentrato…non sull’India, ma sui quei miliziani al confine”.
Resta da vedere come l'India saprà muoversi nei rapporti con il turbolento vicino, soprattutto dopo la pesante ombra di responsabilità che è caduta su Islamabad, nei recenti sanguinosi attacchi terroristici di Mumbay.

Oltre tutto, il presidente americano non può non tener conto della grande considerazione che Teheran ha nell’area e i suoi buonissimi rapporti con i vicini, comprese la Cina e la Russia. Da questo punto di vista la questione nucleare iraniana diventa sempre piu’ una questione urgente da risolvere.

Nino Orto

POLITICA ESTERA

Il Ruanda si tinge di rosa?


Il rapporto Unicef 2007, sul tema delle “quote rosa” in politica, rivela che a livello mondiale la Repubblica del Ruanda è al primo posto per la presenza di donne in parlamento. Questo piccolo paese africano sembra essere il più democratico in termini di rappresentanza politica. Ma le cifre spesso possono ingannare.
In Ruanda, nel mese di ottobre del 2003, le donne hanno ottenuto il 48,8% dei seggi, senza ottenere la maggioranza in parlamento; il nuovo progetto però è stato concordato dalle élitè politiche e le consultazioni sono avvenute attraverso la partecipazione della popolazione in parte analfabeta. Naturalmente una simile situazione era impensabile pochi anni prima. Nel periodo della guerra civile degli anni ’90 e del genocidio del ’94, le donne Ruandesi avevano avuto solo il 19% dei seggi in Parlamento. Nel 1994 il genocidio è stato perpetrato dagli estremisti hutu contro la minoranza dei tutsi e degli hutu moderati. Secondo le stime ci sono state 800.000 vittime(un decimo della popolazione). Un rapporto delle Nazioni Unite ha concluso che durante il genocidio 250.000 donne ruandesi sono state sistematicamente stuprate. Le violenze, per lo più compiute da molti uomini in successione, sono state spesso accompagnate da forme di tortura fisica ed eseguite pubblicamente per moltiplicare il terrore e la degradazione. Molte donne li temevano a tal punto da implorare di essere uccise. L’elevata diffusione dell’Aids aveva condannato le sopravvissute ad una lenta e dolorosa agonia. Durante il periodo del genocidio il governo aveva reclutato negli ospedali, tra i malati di Aids, veri e propri battaglioni di stupratori con l’intento di diffondere sistematicamente la malattia. Quando finì il massacro(durato circa cento giorni) si contarono i superstiti, l’ONU scoprì che il 60-70% della popolazione era di sesso femminile.

Un rapporto commissionato nel 2003 dagli Stati Uniti “International Devolopment” (USAID), ha riconosciuto in Pro-Femmes il “settore più vivace”della società civile. L’associazione Pro-femmes era nata nel 1992, nel periodo di democratizzazione dell’Africa, su iniziativa di 13 associazioni ruandesi con lo scopo di promuovere il ruolo delle donne. Mathilde Kaytesi, vice presidente di Pro-femmes, racconta: “nel ’94-’97 in Ruanda c’erano solo donne, gli uomini erano morti in guerra, imprigionati o fuggiti. Le donne hanno preso in mano la situazione, hanno gestito e ricostruito il paese: le case e gli alloggi. Esse hanno offerto sostegno immediato ai molti bambini esausti, malati e gravemente soli. Hanno assunto il controllo diventando mamme dei bambini orfani a prescindere dalla loro provenienza etnica. Ciò può far sembrare che sia in atto un processo di emancipazione femminile, ma la situazione è molto complessa, a fronte di una enorme esposizione femminile c’è soprattutto il problema che quello che è realmente sulla carta sia realmente applicato e tutt’oggi la cultura è fortemente radicata “.

Numerose sono ancora le problematiche da superare: il tasso di analfabetismo risulta essere molto alto tra le donne e la persistenza di barriere socioculturali non permette di fatto l’accesso all’istruzione formale e informale; diffusa è anche la pratica dei matrimoni forzati per le ragazze intorno ai 17 anni costrette a sposare il marito scelto dai genitori, ma ancora più grave è l’impossibilità da parte delle donne di sottrarsi all’obbligo di avere rapporti sessuali con il marito qualora fosse malato di Aids.

In Ruanda ci sono delle verità che non si vogliono far uscire o che è difficile e doloroso far emergere. Le donne possono avere un ruolo fondamentale perché sono state spettatrici e vittime, e possono essere ottime giudici e testimoni, ma dovrà essere superata la debolezza del sistema giudiziario ruandese che continua di fatto a ostacolare le indagini e l’azione penale nei confronti dei reati di violenza. Si perpetua così una società arretrata ma apparentemente democratica, nella quale le candidate donne in realtà molte volte vengono cooptate da mariti-ministro, compagni parlamentari e parenti con il compito di salvaguardare lo status quo, impedendo alle donne comuni di emanciparsi e ribellarsi al dominio maschile. Non sempre, quindi, i valori della democrazia e della libertà, soprattutto se teorizzati e scritti nella Costituzione ma mai realizzati, aprono realmente la strada ad un’equa rappresentanza politica.


Sara Monsù
POLITICA ESTERA

La politica economica di Obama

Il trionfo elettorale alle presidenziali americane di Barack Obama avvenute nel novembre del 2008, hanno rappresentato un cambiamento epocale, che ha segnato nella politica economica il tramonto del neo-liberismo reaganiano per aprire la strada ad un mutamento generazionale che coinvolge milioni di individui.
La politica promossa dal nuovo presidente degli Stati uniti si distacca dall’idea reaganiana che vedeva nel “Big Governement”il problema contro il quale combattere, ponendo invece una grande attenzione al ruolo che lo Stato deve avere per la soluzione dei problemi che riguardano i cittadini. Reagan aveva sostenuto la liberazione dell’economia dallo Stato, la privatizzazione dei servizi pubblici e la fine di ogni clausola doganale. Adottando questa linea di sviluppo si sarebbe favorita la libertà del mercato, che nel lungo periodo avrebbe portato ad una generale crescita del Pil e del livello di scambio tra paesi lontani: questo circolo virtuoso avrebbe accresciuto nel tempo non solo le classi agiate ma anche le grandi masse. Naturalmente il dogma dominante che ha attraversato indenne la presidenza Clinton fino alla presidenza di George W Bush, ha finito per divorare se stesso, accentuando di fatto le disuguaglianze fra le varie classi sociali, le sperequazioni esistenti tra i paesi ricchi e il sud del mondo e aumentando la ricchezza delle multinazionali. Obama ne ha tratto le conseguenze, ereditando dalle precedenti presidenze un “buco” di mille miliardi di dollari, un mondo finanziario a pezzi e un sistema economico frantumato.
Il nuovo presidente rilancia una maggiore presenza del “Big Government”che si configura come lo strumento più adatto per la soluzione della grande crisi che continua a diffondersi nel mondo americano, ma che di riflesso colpisce indistintamente tutti gli Stati. La manovra anti-crisi definita”Stimulus Act” prevede 787 miliardi di dollari, di cui il 74% sarà erogato dal governo USA nei prossimi 18 mesi. Due terzi della somma arriverà dalla spesa pubblica e solo un terzo da sgravi fiscali. Il primo obiettivo di questo piano è quello di preservare l’occupazione, e riguardo a questo, il governo ha stanziato 120 miliardi di dollari, di cui 27,5 miliardi per costruire nuovi ponti e autostrade, 8,4 miliardi per i trasporti pubblici, 9,3 miliardi per ferrovie e 15 miliardi di dollari andranno agli acquedotti, ai bacini, alla costruzione di canali e al trattamento e alla pulizia delle acque. Poco meno di 7 miliardi di dollari saranno destinati alla ricerca scientifica, alla Nasa e all’associazione per la ricerca oceanografica e atmosferica.
Una grande parte della spesa pubblica sarà poi destinata alla sanità, 19 miliardi di dollari andranno alle cliniche e ai nuovi sistemi informatici, 10 miliardi alla ricerca per il Cancro, l’Alzheimer, il cuore, le cellule staminali. L’istruzione riceverà invece circa 105 miliardi di dollari, di cui 53,6 miliardi andranno ai singoli stati per le scuole e servizi locali, 13 miliardi agli studenti più meritevoli e bisognosi, ma allo stesso modo 12,8 miliardi saranno destinati per l’assistenza ai bambini disabili.
Circa 37,5 miliardi di dollari verranno investiti nell’energia, nell’ammodernamento delle attuali infrastrutture, nella costruzione di nuove fonti energiche per ridurre gli sprechi e per rendere gli stati meno dipendenti dal petrolio.
In ultimo è stato predisposto un pacchetto di sgravi fiscali e incentivi per i più poveri, per coloro che sono stati appena licenziati, per l’acquisto della prima casa, per i senza tetto, per gli orfanotrofi, per le famiglie più bisognose e per i pensionati.
La nuova politica economica-sociale del nuovo presidente degli Stati Uniti rappresenta un nuovo cambiamento di rotta, che focalizza l’attenzione sulla partecipazione dello Stato nella regolazione dei meccanismi di mercato(non adottare misure protezioniste, meno potere alle lobby bancarie e petrolifere); naturalmente come più volte sottolineato dallo stesso Obama, gli effetti si vedranno solo a lungo termine, ma non appare azzardato dire che inevitabilmente questi influenzeranno in negativo o positivo ogni singolo Stato del mondo.

Sara Monsù
NEL CAOS DELLA NOTIZIA

La distorsione dell'informazione


Difendere il diritto di cronaca è diventata un’impresa ardua per i giornalisti italiani, o perlomeno per quelli che vogliono vedere comparire a tutti i costi il proprio nome sul fondo pagina.
Da qui nasce l’esigenza di ricostituire il sistema informativo e ristabilire i codici interpretativi che si creano tra chi scrive la notizia e chi la legge. Il giornalista, il “facilitatore” della notizia , colui che riordina e semplifica la valanga d’informazioni che in sua assenza assalirebbero i lettori, in questo contesto rischia di rendere questi ultimi malinformati o peggio ancora manipolati.
Forse ha ragione Beppe Grillo quando afferma che in Italia, a differenza degli USA, all’informazione manca la vera competizione, quella che riuscirebbe a restituire una vera identità ai nostri giornalisti e che ci garantirebbe di avere notizie autentiche e degne di rispetto.
Siamo vittime di un sistema mediatico snaturato e distorto, che ha delle matrici lontane e pluralistiche, in cui la pubblicità e la proprietà si contendono la penna del giornalista che più riesca ad ingraziarsi la massa e che sia più disposto a mettere in sordina la propria dignità professionale, pur di accontentare l’elite di “potenti”.
La rubrica della quale mi occuperò cercherà di far risaltare in maniera oggettiva e analitica il fenomeno della distorsione dell’informazione nella stampa italiana: attraverso un’analisi comparativa tra i più importanti quotidiani nazionali, vedremo come la stessa notizia sia spesso riportata mediante l’uso di parole chiave molto diverse tra loro, addirittura contraddittorie; ci si potrà così scontrare con la tendenza manipolatrice nel fare informazione da parte di alcune testate, al punto di mettere in dubbio la veridicità della notizia stessa.

Gioara Rizzo

NEL CAOS DELLA NOTIZIA


Questione paradisi fiscali al G20: quale decisione?

Il G20: anche questa notizia vittima di un’informazione manipolata . In questo articolo si vuole mettere in evidenza la posizione dei vari rappresentanti presa in merito alla questione dei paradisi fiscali e all’accordo riguardo l’aumento del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Se “Il Messaggero” lo definisce SCONTRO, il “Corriere della Sera” e “Repubblica” ne vedono quasi un momento d’INTESA, mentre per “L a Stampa”, il testo riguardo ai paradisi fiscali è SBILANCIATO verso gli USA.

Da: “IL MESSAGERO” 02/04/09
TITOLO: “G2O, SCONTRO SUI PARADISI FISCALI”
DALL’ARTICOLO : “… scontro soprattutto sulla regolamentazione dei paradisi fiscali, mentre sembra più facile la via verso l’accordo per l’aumento del FMI …”

Da :“CORRIERE DELLA SERA” 02/04/09
TITOLO: “ G20, INTESA TRA I LEADER SUI PARADISI FISCALI”
DALL’ARTICOLO: “…. I leader del G20 erano apparsi divisi sull’entità dell’aumento dei fondi per il fondo internazionale monetario FMI”.

Da : “LA STAMPA” 02/04/09
TITOLO: “ I PARADISI FISCALI SPACCANO IL G20”
DALL’ARTICOLO: “… Il testo è sbilanciato verso gli USA”… “Francia e Germania: segni chiari …”

Da : “REPUBBLICA”
TITOLO: “G20, ACCORDO VICINO: PER L’ECONOMIA 1000 MILIARDI DI DOLLARI. SCONTRI SUI PARADISI FISCALI”

Da quanto riportato sopra, si evince che questo modo d’informare potrebbe portare ad una divulgazione pronta esclusivamente a minare la formazione di una coscienza morale propria di ogni cittadino, impedendo così che ciascuno sviluppi autonomamente una capacità critica in una prospettiva socio-dinamica.

Gioara Rizzo
NEL CAOS DELLA NOTIZIA

La strage di Stoccarda


Immagine della scuola di Winnendon dove è stata commessa la strage

Si è consumata a Winnendon , in Germania, la strage degli innocenti che ha visto nuovamente nel mirino della violenza studenti e insegnanti di una scuola superiore.
Erano le 9.30 quando Tim K., ex allievo della scuola Realschule Albertville, ha cominciato il suo massacro. Era vestito di nero come un guerriero ninja, quando l’hanno visto entrare nella prima aula e cominciare a uccidere. Il diciassettenne era freddo e impassibile, passava da una classe all’altra puntando alla testa a ragazzi, poco più che quindicenni, la Beretta presa dall’arsenale del padre. Sedici in tutto le vittime, tra cui tre insegnanti.
La polizia ha condotto ore di caccia all’uomo, allertando tutti i reparti, ma Tim ha continuato a sfogare la sua furia sui passanti, ferendo gravemente due agenti, poi, colpito alla gamba, si è sparato alla testa.
Questa la notizia che il 12 marzo era presente su tutti i quotidiani e i telegiornali.
I media si sono occupati della strage di Winnendon comparandola a quella avvenuta poche ore prima in Alabama.
Paesi come la Germania, la Finlandia e gli USA non sono nuovi a tali eventi e l’opinione pubblica italiana ha cominciato a interrogarsi sul perché di azioni così violente contro luoghi che dovrebbero formare le menti dei giovani.
In Italia non ci sono ancora stati casi del genere e questo fa molto pensare, così nei giorni successivi alla strage i mezzi di comunicazione si sono scatenati alla ricerca di una risposta ai molti interrogativi che un evento come questo suscita in ognuno di noi: cosa ha scatenato tale rabbia ? In che ambiente è cresciuto Tim ? Che ragazzo era ? Perché ha utilizzato quell’arma ?
Ogni Tg ha cercato di fornire una panoramica, più dettagliata possibile, della vicenda in attesa di nuove breaking news da mandare subito in onda, e mentre venivano condotte molte interviste, “vox populi”, per cercare di capire qual’era l’opinione delle persone.
Le risposte della gente si contraddicevano, soprattutto riguardo l’ambiente familiare del killer; l’opinione comune era che un omicida doveva provenire per forza da una situazione famigliare disagiata. Conclusione semplicistica, in una realtà ben più complicata.
Vista la difficoltà a trovare una spiegazione soddisfacente dei fatti, alcuni canali sono ricorsi a speciali dedicati. Per esempio durante TV7, andato in onda il 13 marzo su Rai1 alle 23.40, il conduttore Sassoli interagiva con ospiti, uno scrittore e una psicologa, e con ragazzi liceali e universitari per capire quale disagio poteva portare a tali gesti. Il tema della violenza, nel corso della puntata , è stato analizzato sotto diversi punti di vista, come quello familiare e caratteriale è emerso l’identikit di un ragazzo benestante che andava male a scuola e non aveva amici, che dedicava gran parte della giornata ai videogame violenti in cui vince chi più uccide. Il ragazzo aveva premeditato la sua strage, sapeva dove il padre teneva tutte le sue armi e si era scelto l’abbigliamento.
La violenza manifestata da questo giovane killer ha fatto riflettere sui cambiamenti intervenuti negli anni: prima questa poteva scaturire, ad esempio, da lotte di potere come nel ’68, mentre ora è più un voler apparire, una sorta di emulazione per autodeterminarsi.
Oltre ai tg e ai programmi televisivi e radiofonici, anche nel web sono presenti materiali consultabili ( non filtrati dai media) che permettono maggiori informazioni o semplicemente scambi di opinione sull’evento. Ad esempio, su youtube troviamo immagini del ragazzo vestito da ninja, o forum in cui si discute sulla reale, o meno, responsabilità degli psichiatri di Tim per la morte delle sedici vittime.
Gli interrogativi a cui non si riesce ancora a dare una risposta restano i seguenti: la scuola ha il compito di istruire i ragazzi o anche di educarli ? A chi le maggiori responsabilità: della scuola o dei genitori ?
Ai posteri l’ardua sentenza.

Agnese Paganini

ANALISI DEI FENOMENI SOCIALI

Lo stupro: atto universale

Capita ormai quasi quotidianamente di ascoltare dai mezzi di comunicazione di massa come i reati siano sempre più commessi da stranieri. Tra questi, il più vergognoso, il più mortificante della persona: lo stupro. La percezione diffusa è quella di un male in crescita, che trova i propri colpevoli in pericolosi giochi mediatici. Troppo spesso le statistiche e le informazioni vengono giostrate per criminalizzare o scagionare stranieri piuttosto che per difendere le donne; il rischio è quello di una nuova ondata xenofoba di cui già si sente già l’odore. Le statistiche fornite dal Ministero dell’Interno sui casi di violenza sessuale (reato che comprende anche le molestie fisiche) denunciati in Italia sono chiare: il 60.9% degli italiani è responsabile di violenza sessuale, il 7.8% è imputabile a rumeni e il 6.3% ai marocchini; l’8.4% è la percentuale di diminuzione della violenza nel 2008 rispetto all’anno precedente. E’ proprio di questi giorni la notizia che in Afghanistan sta per essere approvata una legge che renderà lo stupro legittimo in famiglia. Non credo che Bruno Vespa gli abbia dedicato una puntata del suo “Porta a Porta”. Questa retorica, largamente diffusa da giornali e tv, tende ad occultare il fatto che lo stupro è un reato, con radici storiche antiche, le cui fondamenta sono rinvenibili nelle relazioni sociali patriarcali, edificate su un sistema di supremazia dell’uomo e di condizione di sottomissione della donna. In guerra, gli stupri di massa sono stati e sono tuttora una pratica ricorrente, una ricompensa per il vincitore: il ratto delle Sabine, i crociati cristiani a Costantinopoli, le truppe marocchine a Cassino ne sono tutti esempi; il Ruanda e la Bosnia sono solo i casi più recenti. Come spiega il demografo francese Jacques Véron nel suo libro “Il posto delle donne”, lo stupro è un atto universale che non ha confini, e la sua repressione varia da paese a paese. Ad esempio in Turchia il vero crimine è la perdita della verginità, non tanto la violenza in sé. In India, lo stupro collettivo è uno strumento ordinario per addolcire qualsivoglia contrasto. Ma per vergognarci di essere uomini, non dobbiamo andare molto lontano: solo nel 1981 in Italia si è abolita la possibilità del “matrimonio riparatore”, con cui il reato di stupro veniva annullato nel caso in cui lo stupratore sposasse la vittima di violenza. E solo nel 1996 la violenza sessuale è divenuta un atto contro la persona e non un atto di offesa della moralità pubblica. In una intervista campione su 25mila donne italiane del 2006-2007, l’Istat ha fornito dati a dir poco angoscianti: il 91.6% degli stupri non è mai stato denunciato, il 67.7% è commesso da partner e famigliari, il 17.4% da amici e conoscenti e solo il 6.2% attuati da stranieri; il fatto che nella maggioranza dei casi la vittima conosca lo stupratore accentua il suo carattere di apparente ordinarietà.
Ma cosa ci rende così vicini al comportamento animale? Si, animale. Al contrario di quanto si possa pensare, è una pratica molto diffusa nei giovani scimpanzé, elefanti e persino delfini. Chi l’avrebbe mai detto?! Susan Brownmiller in “Contro la nostra volontà” vedeva lo stupro come qualcosa di insito nell’uomo, quasi un agire filogenetico, un istinto incontrollabile volto a garantire la sopravvivenza della specie. Forse è più adeguato parlare di pulsioni perché, come ci ricorda Arnold Gehlen nel suo libro “L’Uomo”, l’istinto è prerogativa animale, è una risposta rigida ad uno stimolo, mentre la pulsione è prerogativa umana, è “una spinta generica a meta indeterminata”. La differenza è notevole, perché dire che l’uomo non ha istinti, ma solo pulsioni significa riuscire a spiegare il fatto che, ad esempio, la sessualità umana può esprimersi indipendentemente dai cicli temporali e dalle situazioni ambientali, può applicarsi a oggetti non sessuali (come nel caso delle perversioni), può essere inibita per adattarsi alla realtà, può essere sublimata per esprimersi nell’arte, nella cultura e nella religione. Proprio perché privo di istinti, l’uomo esige un supplemento di codici culturali, capaci di compensare la genericità delle sue pulsioni. Forse è proprio per questo motivo che lo stupro non ha nazionalità, religione o colore della pelle. Semmai va combattuto attraverso l’integrazione, l’educazione e le battaglie culturali.

Angelo Ceccarelli

SOCIETA' SOTTO INCHIESTA

Microcredito in Italia: un'innovazione made in Bangladesh

Mohammed Yunus, vincitore del premio Nobel per la pace nel 2006

Nel nostro paese abbiamo sempre più notizia di furti all’interno di supermarket. Ma non si tratta di un’ondata di rapine a mano armata ad opera di pericolosi fuorilegge. Oggetto di furto sono materie di prima necessità come pane, latte, carne. E i criminali sono anziani e giovani precari che non arrivano alla fine del mese. Si ruba per fame. Le statistiche Istat 2007 parlano chiaro, in Italia sono 2.653.000 le famiglie che vivono in condizioni di povertà relativa, circa l’11% delle famiglie residenti corrispondenti a 7.537.000 persone, di cui il 65% vive al sud. La crisi economica e finanziaria che stiamo vivendo ne ha certamente acuito gli effetti. Ma quali sono le politiche e gli strumenti che tendono a risolvere il problema della povertà? La risposta, sembra ovvia: lavoro e politiche sociali. Le teorie macroeconomiche, a partire dall’economia classica almeno fino alle teorie odierne, mostrano benissimo i processi che regolano la nostra economia, ma hanno trascurato la dimensione sociale dei problemi, tra cui il più rilevante è la povertà.
Gli economisti individuano soltanto una forma di lavoro: il lavoro salariato. Il lavoro indipendente è considerato una forma di economia povera o “settore informale”. L’individuo, nelle teorie microeconomiche vi figura come consumatore, come nella teoria dei consumi, o come produttore, nell’ambito della teoria della produzione. Il lavoro indipendente non è mai menzionato nei manuali di economia. E la politica e le politiche sembrano seguire la stessa scia, ostinati come un segugio. “L’idea che un giovane essere umano profonda tutto il suo impegno per prepararsi ad essere usato da un datore di lavoro mi disgusta profondamente”. Questa è la visione espressa dal prof. Mohammed Yunus, economista e banchiere bengalese, presidente della Grameen Bank e premio Nobel per la pace nel 2006, nel suo libro “Il banchiere dei poveri”. Grameen Bank, la “banca del villaggio” è un istituto di credito indipendente che pratica il microcredito senza garanzie e che ora è diffuso in 57 paesi. La visione economica e del lavoro della banca è a di poco rivoluzionaria, rispetto ai classi rapporti di produzione capitalistica. L’obiettivo è sostenere un’attività economica che punti alla realizzazione di obiettivi sociali, anziché alla massimizzazione dei profitti. L’istituto, infatti, concede microprestiti a tasso bonificato solo ai poverissimi, senza richiedere garanzie, basandosi sulla fiducia e sull’idea che queste abbiano abilità e attitudini imprenditoriali non sfruttate.
A chi chiedeva al prof. Yunus, come gli fosse venuta l’idea di fondare Gremeen Bank, lui rispondeva: “abbiamo guardato come funzionano le altre banche e abbiamo fatto il contrario”. In questo modo ha consentito a coloro che non potevano ottenere prestiti dai tradizionali istituti di credito, di scegliere una strada alternativa all’usura e di avere una possibilità di migliorare la propria vita. Questo ha permesso milioni di persone di poter avviare piccole attività senza finire nelle mani degli usurai. Il 94% dei clienti è costituito da donne, considerate più affidabili, dal momento che chiedono prestiti finalizzati al sostentamento del nucleo familiare. In uno scenario di crisi economico/finanziaria, il tema non potrebbe essere che di attualità. I clienti per ottenere un credito non devono mostrare quanto sono ricchi, ma piuttosto quanto sono poveri. I risultati sono incredibili, il tasso di recupero dei prestiti è oltre il 98%. Quasi inconcepibili per le banche tradizionali, e per chi come noi è abituato a sentir parlare dei “sub-prime”.
Le fondamenta del microcredito sono le “reti”, costituite da gruppi di sostegno reciproco. Ad ogni gruppo di cinque individui viene concesso un prestito. All’intero del gruppo viene negato ulteriore credito nel caso che la condizione economica di uno dei suoi membri divenga inaffidabile. Ciò, ovviamente, dà origine a stimoli economici alla responsabilità e alla solidarietà di gruppo, amplificando simmetricamente l’efficienza dell’intervento creditizio.
La scommessa del microcredito sta sbarcando in Italia, ad annunciarlo è lo stesso Mohammed Yunus nel corso di una conferenza stampa presso la Fondazione Cariplo, per la presentazione del suo libro “Un mondo senza povertà”. L’idea sarà operativa grazie all’intesa con Unicredit e alla collaborazione dell’Università di Bologna e Grameen Trust. Il progetto dovrebbe partire tra settembre e dicembre 2009, erogando piccoli finanziamenti per avviare attività alle persone più povere, che non avrebbero accesso al consueto credito bancario. In Italia per il microcredito non si prevede l’apertura di un vero e proprio sportello bancario, ma la creazione di una serie di rapporti regolati da una “Organizzazione non governativa” con varie associazioni territoriali, con lo scopo di fornire microprestiti a tassi molto bassi. Il modus operandi è sempre lo stesso: fornire credito a coloro che non riuscirebbero ad ottenerlo attraverso le tradizionali banche, rischiando cosi di finire nelle mani degli usurai. Yunus ha rilevato che il progetto è in uno stadio di lavoro avanzato. Altri progetti sono stati già messa in pratica negli U.S.A. e si spera di ottenere in Italia i medesimi risultati raggiunti oltreoceano, con l’obiettivo di costituire un modello creditizio alternativo di lotta alla povertà anche nelle economie sviluppate. Elemento fondante della Grameen Bank è la sua completa autonomia da lobby e istituzioni, sia che si tratti di risparmio, micro-leasing, credito, prodotti previdenziali o assicurazioni. Grameen Bank è una banca per i poveri, fatta da poveri, in cui non si accettaAllinea a destrano le donazioni e la beneficienza ma piani e progetti di investimenti in sviluppo. In un mondo dove gli Stati nazionali e istituzioni sopranazionali, internazionali, transnazionali non riescono a risolvere il problema della povertà, l’innovazione può arrivare davvero dal “terzo mondo”. Come dice il prof. Yunus però, “il microcredito è solo una delle porte ma un’infinità di sbocchi possono essere reperiti per facilitare tale scopo…. Se oggi si soffre è perché noi distogliamo gli occhi dal problema”.

Angelo Ceccarelli

OLTRE IL CRIMINE

Devianza: tra passato e presente

Immagine dei diversi volti che rientrano nella categoria de "L'omo delinquente" delineata da Lombroso


“Ognuno di noi riunisce il sé, il cielo e l’inferno”. Partendo da questa citazione di Oscar Wilde, vorrei proporre a voi lettori una riflessione, per cercare di delineare la storia e l’evoluzione del concetto di devianza, introdotto per la prima volta nel linguaggio sociologico per consonanza con il termine statistico di deviazione, ma che nella sua applicazione ai comportamenti umani, risulta ancora troppo complesso e difficile da definire, poiché caratterizzato dalla compresenza di più fattori.



La prima proposta, a partire da Lombroso e dal positivismo criminologico, evidenzia l’esistenza di una forte correlazione tra le condotte devianti e alcuni tratti somatici o anomalie del corredo cromosomico; come possiamo dedurre, quindi, l’elemento caratterizzante di questo filone è la questione dell’ereditarietà nello sviluppo della delinquenza, che si traduce nel concetto di atavismo.

Ancora oggi verso Lombroso vengono mosse forti critiche, ma allo stesso tempo, a mio avviso, possiamo considerarle un interessante spunto di riflessione per la nostra società.
Immaginiamo di applicare le teorie lombrosiane; possedendo un piccolo libricino saremmo tutti in grado di individuare i delinquenti: si verificherebbe il delirio! Tutti diventeremmo possibili agenti di sicurezza, ma i margini di errore forse sarebbero un tantino differenti rispetto al lavoro delle forze dell’ordine!
Chi non comprerebbe un depliant dove vengono esposte le possibili caratteristiche fisiche di un criminale? Considerando il grande interesse che pervade la società contemporanea, rispetto alla cronaca nera, credo nessuno.

Potremmo essere tutti potenziali delinquenti: possedete un tatuaggio particolare, avete la mascella esposta, la forma degli occhi di un certo tipo?! Bene, comprate “L’uomo delinquente” di Lombroso e scoprirete a che tipologia di crimine potreste essere annessi.

Quante volte, camminando per strada, guardandoci intorno in metropolitana o in autobus, abbiamo esclamato:” Quell’individuo mi appare sospetto?!”
Forse Lombroso non aveva poi tutti i torti, ma sicuramente si tratterebbe di istinto, di una sensazione, non di una generalizzazione vera e propria.
Resta a voi lettori, a questo punto, riflettere su quanto il pensiero di Lombroso sia attuale o meno, ma soprattutto chiedervi: se le sue teorie fossero state prese sul serio, cosa sarebbe successo?!

Oscar Wilde, 2003,” Il ritratto di Dorian Gray”, Milano, Mondadori

Clizia Piras

OLTRE IL CRIMINE

Al di là della devianza

Cos’è la devianza oggi e soprattutto quali sono le sue principali manifestazioni? Cercare di delineare una storia vera e propria della devianza risulta sicuramente complesso; quello su cui voglio concentrarmi è una riflessione sul perché si verificano sempre più frequentemente certi comportamenti.


Le testate giornalistiche spesso utilizzano termini come: raptus, improvvisamente, un individuo comune, sembrava normale, era tranquillo. Sicuramente c’è una parte di verità in tutto ciò, ma cosa si cela dietro queste semplici parole? Davvero si verifica sempre tutto per caso? No, quando si manifesta un comportamento deviante, dietro è sempre presente una causa che si è sviluppata nel corso del tempo.

Invito tutti a riflettere sulle possibili motivazioni che spingano gli uomini a commettere reati: difficoltà in famiglia o nel gruppo dei coetanei, povertà, emarginazione, diversità. Quale tra queste ragioni vi sembra la più attuale? E soprattutto, ce n’è una che secondo voi accomuna tutti i crimini?

A partire da questo spunto, vorrei fare riferimento al concetto di deprivazione relativa, introdotto da D. Matza e H. S. Becker; tale espressione nasce con l’intento di spiegare il fatto che le persone quotidianamente misurano la soddisfazione della propria vita attraverso il continuo confronto con gli altri individui, con il proprio passato e con le attese future.

Riflettiamo ora su due elementi caratterizzanti la nostra società: competizione e conformismo, due aspetti che sicuramente incidono su alcune tipologie di condotte devianti;

Il mistero di tutto questo? È molto più semplice di come appare: l’identità sociale ha sicuramente superato quella personale; ci si conforma sempre di più al gruppo, si ha paura, si devono cercare punti di riferimento in un mondo che ci appare sempre più avverso e spesso si intraprendono determinati comportamenti, come se fossero delle grida di aiuto.

Gli individui amano complicarsi la vita, amano trovare degli alibi per ogni cosa, ma ci sono degli alibi che, a mio avviso, non nasconderanno mai la realtà, a prescindere da qualsiasi teoria scientifica!

Sicuramente non mancano possibili riflessioni su queste tematiche, l’importante è avviarle e non pensare sempre che lo facciano gli altri per noi! Meglio vivere in modo attivo la vita, la passività è pericolosa!

Clizia Piras

OLTRE IL CRIMINE

Analisi delle perversioni sessuali

A partire dai sempre più frequenti fatti di cronaca che riguardano crimini sessuali e sviluppi di nuovi fenomeni sociali, negli ultimi anni, l’intero panorama scientifico comprendente sociologi, psicologi, psichiatri, educatori e giuristi si sta occupando dell’analisi delle cosiddette perversioni sessuali.

Partendo da un punto di vista storico, la difficoltà principale riscontrata nella definizione del fenomeno delle perversioni sessuali, è stata l’individuazione dei confini tra anormalità e normalità; la società stabilisce quando un determinato comportamento rientra o meno nella sfera della normalità, secondo quelle che sono le norme morali, di costume o di condotta.

Feticismo, masochismo sessuale, sadismo sessuale, zoofilia, necrofilia, vampirismo, cannibalismo ed altre, sono sicuramente tutte forme di perversione, alcune più conosciute, altre meno.
Una riflessione interessante potrebbe essere quella di far rientrare anche la pedofilia tra le diverse forme di perversione, in questo caso, andrebbe fatto un discorso molto più complesso che si arricchisce di altre componenti che vanno oltre la semplice spiegazione di un comportamento sessuale anomalo.

Come si nota anche il connubio sesso-devianza è un argomento attuale, nonostante abbia origini antichissime. Come mai fenomeni passati, sono sempre così attuali, seppur in forme differenti? La società è dinamica, il cambiamento è alla sua base, ma nonostante questo ci sono degli aspetti che difficilmente vengono meno.
Non tutti potrebbero essere d’accordo con queste affermazioni, sarebbe assurdo il contrario, ovviamente la mia non è un’imposizione di pensiero, ma un avvio alla riflessione, che spesso viene meno.

L’obiettivo principale che cercherò di sviluppare nei diversi articoli sarà proprio quello della riflessione, valutazione e critica; non basta leggerli questi fenomeni sociali, a dir poco pericolosi; la devianza, nonostante l’analisi dei diversi classici della sociologia, deve continuare ad essere interpretata da ognuno di noi. Possiamo seguire il filone di Durkheim, di Merton, di Lazarsfeld, ma occorre comunque sviluppare delle proprie idee e contestualizzarle.

Clizia Piras