domenica 10 maggio 2009

POLITICA ESTERA

La politica economica di Obama

Il trionfo elettorale alle presidenziali americane di Barack Obama avvenute nel novembre del 2008, hanno rappresentato un cambiamento epocale, che ha segnato nella politica economica il tramonto del neo-liberismo reaganiano per aprire la strada ad un mutamento generazionale che coinvolge milioni di individui.
La politica promossa dal nuovo presidente degli Stati uniti si distacca dall’idea reaganiana che vedeva nel “Big Governement”il problema contro il quale combattere, ponendo invece una grande attenzione al ruolo che lo Stato deve avere per la soluzione dei problemi che riguardano i cittadini. Reagan aveva sostenuto la liberazione dell’economia dallo Stato, la privatizzazione dei servizi pubblici e la fine di ogni clausola doganale. Adottando questa linea di sviluppo si sarebbe favorita la libertà del mercato, che nel lungo periodo avrebbe portato ad una generale crescita del Pil e del livello di scambio tra paesi lontani: questo circolo virtuoso avrebbe accresciuto nel tempo non solo le classi agiate ma anche le grandi masse. Naturalmente il dogma dominante che ha attraversato indenne la presidenza Clinton fino alla presidenza di George W Bush, ha finito per divorare se stesso, accentuando di fatto le disuguaglianze fra le varie classi sociali, le sperequazioni esistenti tra i paesi ricchi e il sud del mondo e aumentando la ricchezza delle multinazionali. Obama ne ha tratto le conseguenze, ereditando dalle precedenti presidenze un “buco” di mille miliardi di dollari, un mondo finanziario a pezzi e un sistema economico frantumato.
Il nuovo presidente rilancia una maggiore presenza del “Big Government”che si configura come lo strumento più adatto per la soluzione della grande crisi che continua a diffondersi nel mondo americano, ma che di riflesso colpisce indistintamente tutti gli Stati. La manovra anti-crisi definita”Stimulus Act” prevede 787 miliardi di dollari, di cui il 74% sarà erogato dal governo USA nei prossimi 18 mesi. Due terzi della somma arriverà dalla spesa pubblica e solo un terzo da sgravi fiscali. Il primo obiettivo di questo piano è quello di preservare l’occupazione, e riguardo a questo, il governo ha stanziato 120 miliardi di dollari, di cui 27,5 miliardi per costruire nuovi ponti e autostrade, 8,4 miliardi per i trasporti pubblici, 9,3 miliardi per ferrovie e 15 miliardi di dollari andranno agli acquedotti, ai bacini, alla costruzione di canali e al trattamento e alla pulizia delle acque. Poco meno di 7 miliardi di dollari saranno destinati alla ricerca scientifica, alla Nasa e all’associazione per la ricerca oceanografica e atmosferica.
Una grande parte della spesa pubblica sarà poi destinata alla sanità, 19 miliardi di dollari andranno alle cliniche e ai nuovi sistemi informatici, 10 miliardi alla ricerca per il Cancro, l’Alzheimer, il cuore, le cellule staminali. L’istruzione riceverà invece circa 105 miliardi di dollari, di cui 53,6 miliardi andranno ai singoli stati per le scuole e servizi locali, 13 miliardi agli studenti più meritevoli e bisognosi, ma allo stesso modo 12,8 miliardi saranno destinati per l’assistenza ai bambini disabili.
Circa 37,5 miliardi di dollari verranno investiti nell’energia, nell’ammodernamento delle attuali infrastrutture, nella costruzione di nuove fonti energiche per ridurre gli sprechi e per rendere gli stati meno dipendenti dal petrolio.
In ultimo è stato predisposto un pacchetto di sgravi fiscali e incentivi per i più poveri, per coloro che sono stati appena licenziati, per l’acquisto della prima casa, per i senza tetto, per gli orfanotrofi, per le famiglie più bisognose e per i pensionati.
La nuova politica economica-sociale del nuovo presidente degli Stati Uniti rappresenta un nuovo cambiamento di rotta, che focalizza l’attenzione sulla partecipazione dello Stato nella regolazione dei meccanismi di mercato(non adottare misure protezioniste, meno potere alle lobby bancarie e petrolifere); naturalmente come più volte sottolineato dallo stesso Obama, gli effetti si vedranno solo a lungo termine, ma non appare azzardato dire che inevitabilmente questi influenzeranno in negativo o positivo ogni singolo Stato del mondo.

Sara Monsù

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