venerdì 6 novembre 2009

AFFARI ESTERI

Obama, il Nobel preventivo

C’era una volta il primo Presidente degli Usa afro-americano, insignito del premio Nobel per la pace, dopo sette mesi di mandato. Detta così questa frase può davvero sembrare l’incipit di una favola per bambini, ma in realtà è tutto vero; eh si perché Barack Obama non solo è stato nominato Presidente degli Stati Uniti nel gennaio scorso, ma ha anche ricevuto l’ambitissimo premio per i suoi « sforzi straordinari nel rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli», come si legge nella motivazione pubblicata sul sito web del Comitato per il Nobel.

Che Obama sarebbe stata una figura “rivoluzionaria” nella storia statunitense e globale, era francamente prevedibile, non foss’altro che per lo straordinario spirito innovativo delle sue idee e per la capacità comunicativa, carica di sensibilità, con cui le veicola; ma da qui, a preveder il Nobel, ce ne passa.

All’atto pratico, Obama non ha certo ancora cambiato le cose: gli Usa e la coalizione dei volenterosi, continuano di fatto ad occupare militarmente Iraq ed Afghanistan, il presidente iraniano Ahmadinejad non ha di certo bloccato lo sviluppo del programma nucleare ed ancora il conflitto in Medioriente è ben lungi dall’essere solo un ricordo, così come il protocollo di Kyoto e la Convenzione internazionale per i diritti dell’infanzia sono, per ora, documenti disattesi dal Paese più potente del mondo, solo per citare alcuni esempi. E allora qual è il vero fattore di discontinuità rispetto al passato? Quale è la vera differenza? La differenza, forse, va rintracciata nel fatto che Obama sta tentando di mettere in atto una serie di risposte alternative a quelle in questi anni fin troppo abusate. E’ riuscito ad infondere nuova fiducia nelle relazioni internazionali attraverso l’arma bianca del dialogo.

Ha rispolverato gli strumenti “freddi” della diplomazia mondiale, da troppi anni ormai accantonati e messi al bando da coloro i quali, per convinzione o convenienza, gli avevano preferito quelli “caldi”, certamente più immediati, ma non di certo meno dispendiosi in termini materiali ed umani.

Ma soprattutto ha prepotentemente messo al centro dell’attenzione la necessità di rispondere a problemi globali, non già attraverso azioni unilaterali, bensì attraverso la diplomazia multilaterale, evidenziando in questo modo il ruolo che le Nazioni Unite e le altre Organizzazioni sovranazionali possono avere in un’ottica di cooperazione finalizzata a costruire un futuro più sostenibile.

E’ forse a questo punto più semplice intuire le motivazioni che hanno spinto il Comitato, a conferire il Nobel per la pace ad Obama. Si tratta di un premio predittivo, anticipatorio, un premio alle buone intenzioni, ma non certo immotivato, se letto in un ottica di medio/lungo raggio; è certamente, quella del Presidente statunitense una politica dalle non immediate conseguenze pratiche, ma dal valore simbolico in prospettiva estremamente potente, tanto più per il fatto che ci si trova di fronte ad una radicale svolta nell’azione di governo dei conflitti socio-politici, rispetto alla Amministrazione precedente.

Si è voluto dunque premiare l’orientamento ad una “pace preventiva” di Obama, che si pone in netta antitesi all’orientamento della “guerra preventiva”, propugnato a più riprese da G.W. Bush precedente inquilino della Casa Bianca; e premiando tale orientamento si è voluto riconoscere non solo ad Obama che questa è la strada giusta, ma si è anche voluto incoraggiare altri soggetti politici di responsabilità globale, ad intraprenderla e perseguirla.

Le congratulazioni “stupite” della maggior parte dei leader mondiali, denotano, forse, una certa reticenza nell’abbandonare lo strumento a dir poco paradossale, della guerra come mezzo di pacificazione; le ragioni sono sotto gli occhi di tutti: una guerra comporta il sovvertimento di uno status quo, l’ abbattimento di un “ordine”, che ovviamente deve essere ricostituito possibilmente ad immagine e somiglianza dell’Occidente globalizzato, ed è qui che entrano in gioco gli enormi interessi economici sottesi alla ricostruzione.

La pace è un investimento, ma con un tasso d’interesse (certamente variabile) ad altissimo coefficiente remunerativo, in termini culturali, sociali e perché no economici; Obama questo, forse lo ha capito.



di Andrea Caltagirone

2 commenti:

  1. Sicuramente Obama è un Presidente innovativo per la storia degli USA ma questo lo si deve solo al movimento antirazzista globale e al Black Panther Party, lui questo lo sa bene. Del resto però ad un anno di distanza dalla sua presidenza e un premio nobel preventivo non possiamo più distogliere lo spirito critico costruttivo. Maggiori truppe di rinforzo agli eserciti di occupazione in Iraq e Afghanistan. Copenaghen fallita. Il sionismo continua la sua strada di terrore. Riforma Sanitaria americana fallita... Non possiamo più soffermarci all'apparenza, il diktat va posto. Caro Presidente: o Lei continua la politica di barbarie dei suoi predecessori, come del resto sta facendo; o Lei ci offra la possibilità di sperare di costruire con Lei un mondo diverso. Angelo

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  2. Grazie Angelo per il tuo commento...
    In effetti nell'articolo, cerco di mettere in evidenza le persistenti contraddizioni che caratterizzano l'azione politica dell'amministrazione americana. Mi viene solo da dire una cosa: diamogli fiducia e tempo, come ben sai gli interessi trasversali alla guerra o alla sanità, sono talmente potenti (fenomeno delle lobbies) da riuscire a frenare qualsiasi innovazione o tentatico d'innovazione.
    Andrea

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